Pope Francis during his visit to Naples, Italy.[/caption]
(Un mio contributo per Italianieuropei, 1 dicembre 2015)
L’enciclica “Laudato si’” costituisce un’importante presa di posizione da parte del ponte ce a favore dell’adozione di politiche a tutela dell’am- biente e di contrasto al degrado naturale e umano. È infatti impre- scindibile agire sull’ambiente se si vogliono vincere le grandi s de della fame, dell’esclusione, della miseria, dell’educazione non solo nel Sud del mondo, ma anche nelle nostre società avanzate. Ecco, dunque, da cosa deriva l’esigenza di una svolta non solo nelle politiche economiche ma anche in quelle ambientali da parte di tutti i governi.
Per tutti gli ambientalisti la pubblicazione dell’enciclica “Laudato si’”, presentata nel giugno di quest’anno, a pochi mesi dalla COP21 di Pari- gi, è stata sicuramente una buona notizia. Con i suoi modi così diversi da quelli di Giovanni Paolo II, papa Francesco è una “superstar” e, che si sia credenti o no, vedere riprendere con tale semplicità, ma anche con grande forza e convinzione, argomenti, ragioni, temi che noi portiamo avanti da tanto tempo e con un successo davvero non proporzionato alla complessità della sfida è importante.
Peraltro, che ci sia voluto il papa per rendere consapevoli della realtà dell’assalto all’ambiente l’opinione pubblica, i media e la politica, mi pare una dimostrazione della persistente fragilità dei movimenti e dei partiti ambientalisti, dell’ef cacia delle lobbies fossili e del grande lavoro di “contaminazione” che ancora ci resta da fare. Ne ho ricevuto ulteriore conferma conversando con un ex ministro italiano, che mi parlava con fervore dell’enciclica e della scoperta del tema delle cosiddette “esterna- lità”, cioè dei costi ambientali di cui bisogna tenere conto quando si fa un’analisi costi-bene ci rispetto a determinate scelte economiche. Un tema sul quale noi insistiamo da decenni, ma che pareva ignoto a un ex esponente di un governo sedicente progressista.
Mi ha molto commosso il riferimento del titolo al “Cantico delle Crea- ture”, non solo perché questo primo testo poetico della letteratura ita- liana è bellissimo, ma perché è anche un testo “ecologista”, semplice e gioioso. Semplicità, rispetto, bellezza e gioia. La relazione con la natura dell’Uomo di Francesco è questa; e per recuperare tale relazione sana ci vogliono politiche e azioni adeguate: una s da globale che prescinde (o dovrebbe prescindere) dai con ni, dalle diversità culturali e geogra che, dagli schieramenti politici, per accomunarci tutti in una mobilitazione sempre più urgente, possibile e positiva. Urgente, perché il tempo strin- ge davvero.
Come ci suggerisce anche l’esperienza empirica dello scorso novembre, così tiepido, o delle piogge e dei tifoni sempre più violenti e frequenti, il cambiamento climatico – o “regolamento” (dérèglement), come efficacemente dicono i francesi – ha effetti già visibili e marcati. La posizione della stragrande maggioranza degli scienziati è chiara e Francesco attacca esplicitamente i negazioniste gli “indifferenti”, perché il loro rifiuto di agire e la loro passività ci stanno facendo perdere tempo prezioso. Abbiamo pochissimi decenni per invertire la rotta e ridurre le nostre emissioni in modo radicale, fino a ridurle a zero a fine secolo.
Peraltro, quando si parla di “divisione” del campo scienti co ci si riferisce più al dibattito mediatico che alla realtà. Ormai sono poche ma, ahimè, godono di uno spazio assolutamente sproporzionato, le voci di coloro che negano che i cambiamenti climatici esistono, che sono provocati dall’azione umana e che se l’aumento della temperatura supererà i 2 °C il fenomeno sarà irreversibile e porterà a conseguenze catastro che dal punto di vista am- bientale, economico e sociale. Tanto per prendere ad esempio un tema di cui molto si discute oggi, già si parla di 200 milioni di “rifugiati” clima- tici nel 2050 se non verranno intraprese azioni appropriate di riduzione delle emissioni, mitigazione e adattamento.
L’enciclica è esplicita anche nell’indicare il legame molto stretto che esi- ste tra il degrado naturale e quello umano, tra la distruzione della natura e la povertà di tanti; tra la mancanza di azione ef cace e di un accordo globale e gli interessi di pochi “potenti”, che guarda caso sono spesso coloro che hanno più “risorse”; tra una nanza di rapina, una cultura consumistica e una narrativa che contrappone economia ed ecologia,
per poter meglio continuare a distruggere il creato e mantenere povertà e diseguaglianza. Insomma, è imprescindibile agire sull’ambiente se si vuole risolvere la grande s da della fame, dell’esclusione, della miseria, dell’educazione non solo nel Sud del mondo, ma anche nelle nostre so- cietà avanzate. È l’idea dell’ecologia integrale, della riscoperta del legame tra tutte le parti dell’umano con il naturale.
Certamente, per occhi laici e libertari come i miei, alcune ri essioni del papa restano non condivisibili: il diritto “naturale” non esiste per me e le leggi dell’amore e della natura non possono escludere chi ha una sessualità diversa dalla possibilità di formare una famiglia e di fare parte della società in condizioni di totale eguaglianza. E se sono perfettamente d’accordo sul fatto che la possibilità di trovare alcune soluzioni tecniche non deve diventare la scusa per non cambiare nulla nel nostro approccio alla natura e in particolare ai cambiamenti climatici, mi sembra che il problema non sia la tecnologia in quanto tale, da contrapporre a una tra- dizione antica, ma l’uso che se ne fa. Un agricoltore biologico, attaccato a culture tradizionali e che vende i suoi prodotti al mercato sotto casa, può benissimo essere supertecnologico!
Nonostante la dura condanna di papa Francesco nei confronti dei “nega- zionisti”, il suo messaggio centrale rimane positivo e di speranza. La spe- ranza di una profonda trasformazione del nostro
modello di sviluppo, accompagnata da scelte chiare e senza ambiguità, che sono possibili, realistiche, auspicabili e non sono assolutamente in contrad- dizione con lo sviluppo economico e tecnologico, anzi lo accompagnano e lo orientano.
Per salvare il pianeta e battere la povertà, ci dice Francesco, bisogna uscire dalla dipendenza dai combustibili fossili. Bisogna favorire le energie rinnovabili; bisogna superare un’agricoltura di sfruttamento e andare verso un modello sostenibile e di qualità, per i contadini e i consumatori. Bisogna gestire con cura e amore le nostre foreste, i mari, ma anche i vasti giacimenti culturali che le generazioni passate ci hanno lasciato. Il papa sa bene che questa trasformazione non è un sogno teorico. È un processo già in corso, che rappresenta una prospettiva seria di rinnovamento dell’attività economica, di nuova occupazione di qualità.
Con la potente e crescente campagna di disinvestimento dai fossili, già 2,6 trilioni di dollari sono usciti dal circuito dei nanziamenti a gas, pe- trolio, carbone. Nell’UE, ci sono oggi più di 20 milioni di posti di lavoro legati al settore ambientale. Dal 2010 a oggi, senza le pur modeste azioni in materia di ef cienza energetica degli 11 Stati più avanzati del mondo, avremmo avuto il 5% di energia consumata in più; e secondo la IEA e la Commissione europea, l’aumento dei prezzi dell’energia dal 2004 a oggi non è dovuto agli incentivi alle rinnovabili, ma soprattutto alle tasse e all’aumento dei prezzi delle materie prime. Quindi, se riducessimo la nostra dipendenza dai fossili – che ci costano oggi oltre 500 miliardi di euro all’anno, soldi che vanno direttamente nelle tasche di Putin e degli sceicchi, alcuni dei quali hanno nanziato per anni gli estremisti islamici e quindi anche quelli che oggi in ammano il Medio Oriente e insangui- nano le nostre strade – avremmo in prospettiva prezzi dell’energia più bassi. Secondo i dati riportati nel rapporto “Greenitaly 2015” curato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere, in Italia dalla green eco- nomy arrivano già oggi 102 miliardi di euro di valore aggiunto, il 10,3% del PIL; ben 372.000 imprese, il 24% del totale, puntano su tecnologie e servizi verdi per uscire dalla crisi. Ma questa transizione non è ancora irreversibile e, come ben segnala anche il papa, ha bisogno di un accordo ambizioso a livello globale e di scelte regolamentari, nanziarie e di com- portamento individuale chiare a livello nazionale e locale.
Nel nostro paese, sia Con ndustria che il governo sottovalutano comple- tamente questa realtà. A Ecomondo, la seconda era della green economy più grande d’Europa, che ha luogo ogni anno a novembre a Rimini, e alla quale hanno preso parte quest’anno più di 1000 imprese e 103.000 visitatori. Se si esclude una fugace apparizione del ministro Galletti, il governo e Con ndustria erano assenti. Questa disattenzione e questa ostilità sono controproducenti; il caso delle rinnovabili lo dimostra chia- ramente. Oltre il 38% del consumo elettrico è oggi assicurato dalle rin- novabili e siamo già intorno al 18% del consumo totale dell’energia, in anticipo di qualche anno rispetto agli obiettivi posti dall’UE per il 2020. Fino al 2011 sono stati creati 120.000 posti di lavoro in questo settore. La sospensione indiscriminata e disordinata degli incentivi, in alcuni casi retroattiva, ha bruscamente frenato la crescita e disorientato gli investi- tori delle rinnovabili, con il risultato che senza troppo rumore, la metà di quei 120.000 posti di lavoro sono andati persi. L’opera di smantel- lamento del settore delle rinnovabili continua ancora; e parallelamente
prosegue anche l’attribuzione d’ingenti risorse e vantaggi a infrastrutture inutili come il tunnel della Val di Susa le trivelle nel Mediterraneo (dove le riserve non arrivano a coprire che pochi mesi del nostro consumo attuale di petrolio) e a operatori economici sostanzialmente parassitari, come le concessionarie autostradali: ultimo in ordine di tempo, lo scan- dalo dei 360 milioni di euro dati all’autostrada BreBeMi, in spregio a qualsiasi regola europea e nei confronti del quale abbiamo presentato un ricorso alla Commissione UE che siamo sicuri di vincere. Insomma, una serie di errori strategici madornali che senza una decisa inversione di marcia pagheremo caro, in particolare in termini di competitività.
In questo contesto, quale sarà l’impatto concreto dell’enciclica sui nego- ziati internazionali sul clima e in generale sull’avanzamento dell’agenda verde, a prescindere dal suo fondamentale valore spirituale, culturale e di aiuto alla presa di coscienza di milioni di persone di una s da epocale? Sono piuttosto ottimista rispetto ai negoziati internazionali. Infatti, anche se a Parigi non verranno presi impegni tali da assicurare che il riscalda- mento del pianeta resterà al di sotto dei 2 °C, c’è una possibilità che al- meno si interrompa il trend negativo e che l’entrata in campo ben diversa rispetto a Copenaghen di attori fondamentali come la Cina e gli Stati Uniti renda possibile rivedere gli impegni di riduzione al rialzo tra qual- che anno, sulla base di un piano di impegni concreti presi a Parigi. Io cre- do che l’enciclica abbia senz’altro contribuito a sottolineare l’importanza di un risultato positivo a Parigi presso una parte dell’opinione pubblica e dei legislatori che di solito non si interessano per nulla a questo tema. Sono assai meno ottimista sulla situazione europea e italiana, in par- ticolare rispetto al dibattito in atto sul futuro della politica energetica europea. Si sta discutendo della cosiddetta “Unione dell’energia”, delle sue priorità e di cosa succederà quando, nel 2020, verrà a scadenza l’at- tuale pacchetto legislativo Clima ed energia 20-20-20 e bisognerà attua- re i deboli impegni presi per il periodo no al 2030, tenendo conto del fatto che la UE si è impegnata a ridurre dell’80% le emissioni entro il 2050. Gli Stati membri sono divisi in due fronti, uno guidato dai bri- tannici e dai polacchi, che non vogliono alcun vincolo né alcuna nuova regolamentazione in materia di ef cienza energetica e rinnovabili, per continuare a sostenere nucleare e carbone. E l’altro capeggiato dai te- deschi, che vorrebbero assicurare attraverso norme e sanzioni europee il proseguimento della loro Energiewende. Neppure a dirlo, l’Italia si trova allegramente schierata dalla parte dei britannici e dei polacchi.
È chiaro che grazie alla distrazione di politici e media, vecchi settori fossili tornano all’attacco e pretendono una parte dei fondi pubblici a scapito di rinnovabili ed ef cienza energetica per coprire l’errore di avere troppo investito nella costruzione di centrali assolutamente sovradimen- sionate o per favorire incerte e costosissime tecnologie come la cattura della CO2 o il nucleare. Sono riusciti a convincere i governi – incluso il nostro – che le rinnovabili costano troppo; oggi si rischia seriamente di buttare al vento gli investimenti fatti in passato, favorendo settori altamente inquinanti: il contrario esatto di ciò che papa Francesco chiede di fare nella sua enciclica.
La mia impressione, in conclusione, è che in Europa (e in Italia) il grande clamore e l’emozione provocati da questo testo coraggioso si stiano rapidamente esaurendo nel tran-tran dei negoziati
tecnici e nella riservatezza di riunioni a porte chiuse, lontano dal dibattito pubblico oggi peraltro dominato dalle tragedie della guerra in Medio Oriente e dei rifugiati. Sono certa però che papa Francesco non lascerà cadere questa s da. E se il risultato alla COP21 sarà positivo, o almeno non troppo negativo, sarà forse possibile ripartire con rinnovato slancio per cambiare aria in Europa e magari ridare alla UE quel ruolo di avanguardia delle politiche ambientali nel mondo che oggi pare aver completamente messo da parte.