Un anno dopo Fukushima


E’ passato un anno dal disastroso terremoto e tsunami che ha colpito il Giappone, e le sue gravissime conseguenze si fanno ancora pesantemente sentire;  nonostante questo, una certa ”sordina” é stata messa sul dibattito intorno a Fukushima e al nucleare dopo qualche mese di estrema sensibilità, e le lobby nucleariste sperano di tornare al più presto alla situazione pre- 11 marzo 2011.

Eppure, il triste bilancio di Fukushima è sempre d’attualità. E’ la natura stessa degli incidenti nucleari: lasciano un'eredità radioattiva duratura e i rischi sono davvero impossibili da prevedere.  Secondo le valutazioni ufficiali della Commissione regolatrice per il nucleare degli Stati Uniti, ci sono al mondo 400 reattori in funzione, e un incidente come quello di Fukushima, che coinvolge la fusione del nocciolo, dovrebbe in teoria verificarsi una volta ogni 250 anni. In realtà ne abbiamo già visti tre in meno di 32 anni: three Mile Island nel 1979, Chernobyl nel 1986 e Fukushima nel 2011.

A Fukushima, ad un anno dal disastro, la situazione non è sotto controllo. L'annuncio dal governo giapponese che i reattori difettosi erano in una condizione di chiusura a freddo del reattore è stato accolto con scetticismo e rabbia da un’opinione pubblica preoccupata e con incredulità dagli esperti nucleari. Come indica il recente aumento della temperatura nel reattore 2, l’impianto di Fukushima rimane instabile ed altamente vulnerabile ad un nuovo evento come un terremoto anche di intensità minore.

Nel frattempo è stato valutato che la “pulizia” della zona  richiederà decine di anni e centinaia di forze-lavoro.

Oltre ai reattori stessi e alla zona di esclusione di 20 km, la zona circostante nella provincia di Fukushima resterà contaminata per intere generazioni. Un esempio concreto: la quantità di Cesio-radioattivo 137 (che ha un periodo radioattivo di circa 30 anni) liberato durante il disastro di Fukushima è 168 volte superiore a quello sprigionato dalla bomba di Hiroshima. È stato valutato che le morti  dovute all’ esposizione  radioattiva nella regione potrebbero essere migliaia. Fukushima, come Chernobyl 25 anni prima, ha dimostrato che - pur rimanendo relativamente bassa l’eventualità di un incidente nucleare grave – il suo impatto potenziale è enorme. L'uso dell'energia nucleare, come pure la proliferazione relativa delle tecnologie nucleari, ha avuto e può ancora avere conseguenze disastrose. Per eliminare questo rischio l’unica vera garanzia è l’uscita progressiva dal nucleare. Questa è un’opzione possibile ed urgente.

Alcuni paesi sembrano avere imparato questa lezione. In Germania, dopo gli eventi di Fukushima, il governo ha deciso di confermare l’uscita dal nucleare, decisione già presa durante il governo rosso-verde. Molti scenari futuri pronosticano per la Germania un ricorso del 100% a fonti rinnovabili per i suoi bisogni energetici entro il 2030. Nel frattempo il 90% dei cittadini italianiche hanno partecipato al referndum del giugno 2011 hanno votato contro i programmi di sviluppo del nucleare, anche se ancora non è stato definito un piano energetico nazionale che scelga chiaramente energie rinnovabili ed efficienza energetica come assi portanti. La realtà è però diversa in paesi come la Cina, l’India e lo stesso Giappone. Anche se soltanto tre dei 54 reattori nucleari sono attivi e generano energia, mentre le autorità giapponesi conducono “stress test”, il governo spera ancora in una riapertura di quasi tutti i reattori e nella possibilità di estendere a 60 anni l’attività di quelli più obsoleti.

Molti cittadini hanno però manifestato apertamente il loro disaccordo. I sondaggi indicano che la grande maggioranza della popolazione è ora contraria all’energia nucleare. Movimenti di opposizione locali sono nati spontaneamente in tutto il Giappone. Molti sindaci e legislatori, nel timore di perdere il loro ruolo e il loro potere, si allineano con i loro cittadini. Quindi questa battaglia, del tutto nuova per i giapponesi,  è appena all’inizio.

Quanto all’UE, la risposta è stata fin da subito quella di intraprendere stress-tests sui reattori nucleari esistenti. Tuttavia questi tests sono apparsi fin da subito come dei pretesti per incoraggiare l'opinione pubblica ad accettare che lo sviluppo del nucleare continui indisturbato: infatti, non solo non sono davvero completi, perché ignorano fattori cruciali come incendi, errori umani, la degradazione di componenti essenziali dell'infrastruttura o un incidente aereo, ma possono essere usati per tranquillizzare l’opinione pubblica o per giustificare ulteriori spese e investimenti per metterli in “sicurezza” o per costruirne di nuovi più e più efficaci.

Fukushima ci ha ricordato che il nucleare rimane una tecnologia ad alto rischio. E, in tempi di crisi, l’analisi costi-benefici è perdente su tutta la linea. Come abbiamo visto con la costruzione dei due nuovi reattori nucleari in Europa, i costi di costruzione - già per sé proibitivi – sono stati grossolanamente sottostimati. I reattori EPR in costruzione in Finlandia ed in Francia sono entrambi circa 100% sopra al costo preventivato e la data di fine dei lavori di costruzione è sistematicamente rimandata.

I costi nascosti del nucleare – come l’estrazione dell’uranio le cui riserve sono sempre più scarse, lo smaltimento delle scorie, l’assicurazione, lo smantellamento – e la sicurezza, sono enormi ed è il cittadino che copre questi costi attraverso le sue imposte. Non avrebbe dunque molto più senso investire gli stessi miliardi di euro in tecnologie sostenibili che già esistono e possono essere ancora migliorate?

A un anno da Fukushima, speriamo di non dovere aspettare un altro disastro per convincere il mondo che è tempo di abbandonare questa tecnologia vecchia, costosa e rischiosa.

Monica Frassoni e Philippe Lamberts co-Presidenti del Partito Verde europeo Rebecca Harms e Daniel Cohn-Bendit, co-presidenti del Gruppo Verde al Parlamento Europeo