Ue tra impotenza e confusione, ma accogliere costa meno che respingere
Fa un certo effetto ascoltare le parole chiarissime dell'Alto commissario per i Rifugiati Filippo Grandi che ha detto senza esitazioni che l'accordo che si profila con la Turchia sui rifugiati è un'intesa che "non tiene conto delle salvaguardie della legge internazionale di protezione dei rifugiati". Che Stati membri e Commissione europea possano pensare con una tale leggerezza di violare e quindi rendere sostanzialmente nulle alcune delle poche regole di diritto internazionale ancora vigenti e' un'altra dimostrazione della deriva cinica e irresponsabile che potrebbe davvero portare alla disgregazione della Ue.
Il Consiglio europeo del 7 marzo si è concluso con i governi europei più divisi che mai e con l'immagine dell'Ue tenuta in ostaggio da un governo turco sempre più repressivo e arrogante. Il Consiglio riunito al suo più alto livello si rivela ancora una volta come un luogo in cui è ormai improbabile prendere decisioni comuni di una qualche qualità, e anche quando si riesce a trovare una quadra, troppo spesso si tratta di accordi ambigui e complicati, che rappresentano anche meno di un denominatore comune. Il gioco dei veti incrociati e l'obbligo della unanimità ha eroso giorno dopo giorno e da anni ogni ambizione comune, emargina sistematicamente i fautori di posizioni più avanzate, che pur esistono, e dà un peso spropositato ai signor NO, che ormai sono molto numerosi, perché opporsi paga, o almeno così pare.
Eppure, organizzare l'arrivo dei rifugiati in Europa potrebbe rivelarsi una soluzione più conveniente che ostinarsi a respingerli. È veramente stupefacente la continua rincorsa dei partiti maggioritari delle ragioni della destra estrema nell'illusione di fermare una perdita di consensi, che non dipende tanto dalle ragioni o proposte di populisti o nazionalisti, ma dall'incapacità di molti governi a mostrare una politica veramente alternativa e chiara rispetto alla loro propaganda che porta paure ma non soluzioni. A questo proposito è illuminante il risultato delle elezioni slovacche di domenica scorsa: il sedicente socialista e premier uscente Fico ha fatto una campagna tutta contro rifugiati e migranti (la Slovacchia ospita più o meno 150 rifugiati) e si ritrova oggi senza maggioranza e con un partito neonazista in Parlamento. Come diceva saggiamente il vecchio Jean-Marie Le Pen, "diffidate delle imitazioni, scegliete l'originale".
Eppure se ci fosse un dibattito basato sui fatti, sarebbe sempre più chiaro che il rifiuto della maggior parte degli stati membri di gestire sia internamente che a livello europeo un piano comune per la distribuzione, l'assistenza e l'integrazione dei rifugiati è molto più costoso in termini di sofferenza umana, di risorse pubbliche, di rispetto dei nostri valori e di credibilità politica che accettare di occuparsene davvero. Anche alla luce delle ciniche e inefficaci discussioni a Bruxelles, l'unica risposta possibile, oltre naturalmente ad operare per la fine delle guerre, rimane quella di accettare l'evidenza che solo un piano comune di redistribuzione di un numero congruo di rifugiati, risorse adeguate a garantirne l'accoglienza e l'integrazione possono rappresentare il presupposto per ogni tipo di discussione con la Turchia e con gli altri paesi della regione.
Anche se capisco che è difficile ribaltare la logica dominante, è necessario ripetere e dimostrare che non è vero che siamo di fronte a un'invasione che non siamo in grado di gestire; e un piano che prevede di parcheggiare centinaia di migliaia di persone per anni in luoghi insicuri e senza alcuna qualità di vita, dalla frontiera con la Siria, in Grecia in Turchia, sarà foriero di altro dolore, altri conflitti, altri costi immensi.
Il milione di rifugiati sono arrivati in Europa nel 2015 rappresenta lo 0,2% della popolazione dell'Ue, 500 milioni di abitanti circa, ed è una parte piccola dei 60 milioni di rifugiati e sfollati nel mondo. Anche qui, non si tratta di aprire a tutti senza criterio. Ma di pretendere che si guardi in faccia la realtà e che si governi un fenomeno che durerà, senza lasciarsi dominare da chi oggi decide davvero sui flussi di rifugiati: i trafficanti senza scrupoli e senza pensieri per le vite umane, che hanno guadagnato fino a 10 miliardi di euro con la politica delle frontiere chiuse. Bisogna organizzare una risposta politica complessa, che passa per gli aiuti ai paesi dove oggi vivono la stragrande maggioranza dei rifugiati, inclusa la Turchia, il Libano o la Giordania, per arrivare alla revisione delle priorità di spesa per gli stati membri e alla fine dell'assurda politica di austerità che blocca investimenti e crescita.
A proposito della Turchia, poi, è chiaro che il suo governo sta approfittando della discordia Ue e della sua incapacità di organizzare una politica sensata. La Turchia accoglie già 2,8 milioni di rifugiati siriani, ed è giusto sostenerne gli sforzi con aiuti finanziari controllati e adeguati. Ma con i tre miliardi di euro in più che chiede c'è il modo di fare molte cose utili per accogliere i rifugiati nella Ue invece che esternalizzare il servizio a un prestatore che non da tutte le garanzie di potere rispettare gli impegni... Come già ripetutamente notato da molte Ong e in ultimo da Eurojust, ci sono fondati dubbi sul fatto che la Turchia sia in grado e abbia la volontà politica per gestire in modo adeguato l'accordo che essa stessa propone alla Ue. Si rischia di pagare un servizio che si tradurrebbe nella creazione di campi in cui i rifugiati sono semplicemente parcheggiati, in cui non ci sono garanzie per i loro diritti, con il rischio reale di respingimenti verso aeree di guerra di siriani, iracheni, afghani, e di crescita delle reti di lavoro nero e di sfruttamento illegale di bambini e rifugiati che già esistono.
Inoltre, alcuni (pochi) membri del Consiglio europei tra cui Matteo Renzi hanno menzionato la loro indignazione per l' "occupazione" da parte del governo turco del quotidiano Zaman, poche ore prima del vertice a Bruxelles. Ma quali sono stati gli effetti di queste proteste? Quasi nulli. Davotoglou ha detto sorridente che la Turchia attribuisce molta importanza alla stampa libera e si è sbarazzato della questione. Queste rimostranze rimangono flebili, di fronte alla violenta repressione di ogni dissenso, (ultima la manifestazione delle donne il 7 marzo, convocata in occasione della giornata dei diritti delle donne) e al peggioramento costante del conflitto nella regione curda, dove il governo, dopo aver rotto i negoziati che erano praticamente conclusi nell'aprile scorso, rifiuta ogni prospettiva di ripresa delle trattative e prepara la levata dell'immunità parlamentare dei deputati del partito di opposizione Hdp. Insomma, come sostiene Amnesty International, la Turchia non sembra un paese sicuro per i suoi stessi cittadini, figuriamoci per i rifugiati!
Vedremo come evolveranno le discussioni intorno alla bozza di intesa nei prossimi giorni, in attesa del prossimo, ennesimo vertice. Ma di certo non possiamo illuderci che continuando a picconare le basi stesse della nostra convivenza e del diritti delle persone, da ovunque esse provengano, potremo ritrovare la nostra sicurezza e tranquillità.