TRANSIZIONE ECOLOGICA: LA STRADA DIFFICILE VERSO UN FUTURO MIGLIORE


(Questo articolo é stato pubblicato sulla Rivista "ItalianiEuropei 2/2024" che ringazio per lo spazio concessomi)

Cosa ci spinge a cambiare?  Per qualsiasi aspetto importante della nostra vita, lavoro, casa, marito, moglie, è la convinzione che ci sarà un miglioramento, che è giusto farlo o che le circostanze non ci lasciano scelta.

La stessa logica vale per il cambiamento climatico: per accettare e fare proprie le grandi trasformazioni necessarie per affrontarlo, dobbiamo essere convinti/e che, se lo facciamo presto e bene, potremo vivere molto meglio di prima, in città meno sporche e inquinate, in case più confortevoli, in una natura più rigogliosa e fertile; potremo muoverci, mangiare, consumare "meglio", lavorare in modo più consono alle nostre ambizioni e anche trovare nuovi valori di solidarietà e sobrietà e nuove abitudini positive. La grande responsabilità dei/lle decisori politici/he, delle istituzioni, del mondo accademico e delle imprese è dimostrare, con norme, soluzioni tecnologiche, evidenze scientifiche, che questo futuro migliore è possibile e accessibile a tutti e tutte.

Ma questo non basta: dobbiamo anche essere pienamente consapevoli che se continuiamo a ritardare le misure per eliminare la nostra dipendenza dal gas e dagli altri combustibili fossili, che causano il cambiamento climatico, le conseguenze saranno tragiche e inarrestabili, non tra un secolo, ma adesso; ogni minuto, ogni negoziato internazionale, ogni legge, ogni finanziamento sprecato, ci avvicina a un futuro che non vogliamo nemmeno immaginare, ma che diventa sempre più vicino.

E’ di poche settimane fa la notizia che centinaia dei principali scienziati del clima del mondo hanno partecipato a un sondaggio del Guardian, e prevedono che le temperature globali aumenteranno di almeno 2,5 C rispetto ai livelli preindustriali nel corso del secolo, superando gli obiettivi concordati a livello internazionale e causando conseguenze catastrofiche per l'umanità e il pianeta; dal sondaggio emerge anche la loro frustrazione e disperazione: come moderne Cassandre, avvertono da tempo dei rischi e propongono dei rimedi, vedono avvicinarsi sempre di più lo scenario descritto dal Film di Adam McKay “Don’t look up”, dove la Terra è distrutta da un enorme meteorite che si sarebbe potuta perfettamente evitare se persone ai posti di comando meschine, ignoranti e scettiche e una società tenuta all’oscuro dal controllo dei media e da una democrazia disfunzionale non lo avessero impedito.

URGENZA E DESIDERIO: sono queste, dunque, le chiavi per uscire dall'inerzia che ancora ci attanaglia dopo innumerevoli rapporti dei più importanti scienziati e istituzioni, fiumi di denaro e grandi mobilitazioni e che non ci permette di cogliere le innumerevoli opportunità che un’azione convinta e concentrata della politica, della società, del sistema accademico, associativo, economico può ancora (ma non per molto) rappresentare. Molti pensano infatti ancora che il cambiamento climatico sia un problema di qualche atollo lontano o dei nostri pronipoti e che per non rischiare di perdere qualche comodità sia meglio rimandare! Questa convinzione è falsa e i fatti la smentiscono ogni giorno, proprio in Europa.

Tra il 1980 e il 2022, gli eventi climatici e meteorologici estremi hanno causato perdite economiche stimate in 650 miliardi di euro negli Stati membri dell'UE, di cui 59,4 miliardi di euro nel 2021 e 52,3 miliardi di euro nel 2022. Molte persone sono state colpite direttamente (140.000 vittime dirette negli ultimi 40 anni).

Per di più, non molti sono consapevoli che le temperature proprio in Europa stanno aumentando di più del doppio rispetto alla media globale. L'Europa presenta insomma un'immagine vivida di un mondo che si riscalda e ci ricorda che nemmeno le società avanzate sono al sicuro dall'impatto di eventi meteorologici estremi e dall'inquinamento.Potrei naturalmente continuare, parlando del fatto che da 10 anni quasi ogni anno si registrano temperature record e delle terribili conseguenze di terribili ondate di calore in molte parti del mondo (India), nonché delle tragiche inondazioni in Brasile, Pakistan o Nigeria, Kenya o Cina che hanno provocato centinaia di vittima e lasciato milioni di persone senza casa, che creano ogni anno centinaia di migliaia di profughi ambientali e sono e saranno tra le cause di conflitti e guerre che già devastano una parte importante del nostro pianeta.

Ma poiché non è solo la prospettiva di un "disastro" a farci agire, è importante parlare della spinta che può rappresentare il "desiderio" di una vita migliore, ancora alla nostra portata. Dico “può’” rappresentare perché il passaggio dall’estrema preoccupazione di alcuni all’azione positiva di tutti e tutte non c’è ancora davvero. E questa non è una situazione dovuta solo alla distrazione o indifferenza di noi tutti e tutte, impegnati/e a vivere qui e ora e che potrebbe essere superata con una migliore informazione e comunicazione, magari coinvolgendo influencer efficaci e portando gli innumerevoli numeri, dati, fatti, che sono ormai disponibili ovunque: se bastasse questo, numeri e dati sarebbero già largamente sufficienti a motivare chiunque che la transizione ecologica è desiderabile.

Ma come nel Film “Don’t look up” bisogna essere consapevoli che ci sono potenti forze economiche e politiche che hanno un interesse diretto a non volere cambiare strada e istillano continuamente dubbi, spingono su false soluzioni semi-verdi, competono direttamente e con successo con i settori delle rinnovabili, dell’efficienza energetica e dell’agricoltura sostenibile per ottenere risorse pubbliche preziose e contribuiscono anche a rafforzare opzioni politiche non solo conservatrici e reazionarie sul tema della stessa democrazia, riducendo lo spazio per un’informazione libera e ostacolando anche con cause temerarie e condizionamenti sui media il dissenso e l’azione civile e autonoma dei cittadini e cittadine, indispensabile al successo della transizione. E non è neppure un caso che in Italia, a differenza di ciò che succede in Olanda, Germania, Francia, le cause “sul clima” siano state ritenute irricevibili dalla magistratura come vedremo più oltre.

Come è già successo con l’industria del tabacco, anche la grande finanza che continua a sussidiare generosamente i produttori gas e petrolio, i grandi gruppi petroliferi o legati ai combustibili fossili, sanno da molto tempo che le emissioni hanno un effetto sul clima ma ancora oggi usano un enorme quantità di risorse per resistere alle misure concrete e alle tecnologie che, anche con il loro prezioso aiuto, potrebbero ridurre le emissioni nel modo drastico che sarebbe richiesto.

La transizione costa, si dice senza contare mai i danni ingenti che la NON transizione sta già facendo e bloccando sul nascere ogni discussione, come ha fatto il Ministro Giorgetti (“chi paga?”) per motivare il voto negativo, in tandem con l’Ungheria, sulla direttiva sulla Performance Energetica degli edifici, cosiddetta direttiva “case verdi”.  Ma pur se non è un tema trascurabile, è bene rendersi conto che in questo momento, non sono certo le risorse il problema: la direttiva stessa, peraltro, menziona gli strumenti UE utilizzabili per finanziare quella che la Commissione europea aveva chiamato una “Renovation wave”.  Next Generation Eu e il Piano di Ripresa e Resilienza, sul quale il governo accumula i ritardi e gli stop and go; il Piano RePowerEU; i fondi della politica di coesione europea, soprattutto per le voci che riguardano la riduzione dei divari territoriali; il Fondo sociale per il clima, che dispone di 65 miliardi di euro da spendere tra il 2026 e il 2032 per i piani nazionali di ristrutturazione degli edifici. Ma ci sono, se adeguatamente sostenuti in particolare da un sistema bancario che per ora finanzia ancora troppo i fossili, gli investimenti delle imprese e delle famiglie, che non sono tutte in condizioni di non potere investire nelle proprie case se libere da speculazioni e imbrogli. E questa volta è imperativo evitare le bolle speculative, le malversazioni e i rincari ingiustificati delle materie prime e dei servizi. Insomma, il “chi paga” può essere definito e organizzato. Bisogna però volerlo.

Quello che manca è, ancora una volta, la dimensione dell’urgenza, la convinzione che quella è l’unica strada che abbiamo davanti: proprio perché siamo in emergenza climatica dovremmo spostare al più presto ciò che i bilanci pubblici pagano per sovvenzionare attività non prioritarie, ideologiche o dannose per l'ambiente verso attività sostenibili; tanto per fare un esempio, in Europa sono stati spesi 55 miliardi all'anno dal 2015 al 2021 per i sussidi ai combustibili fossili, saliti a 122 miliardi nel 2022 a causa della guerra in Ucraina. 70 miliardi sono usciti dalle casse pubbliche italiane per finanziare a pioggia le bollette; e il costo di riforme assolutamente deleterie come “quota 100” sono calcolate in decine di miliardi.  Allo stesso tempo, l'anno della crisi, il 2022, ha portato 123 miliardi di euro di profitti inattesi alle cinque maggiori compagnie petrolifere e del gas dell'Occidente. E per di più, sono solo le 57 società collegate all'80% delle emissioni di gas serra dal 2016. Queste enormi aziende realizzano enormi profitti mentre inquinano. E inoltre, ricevono denaro dai contribuenti. Si tratta di contraddizioni assolutamente insostenibili che letteralmente impediscono il futuro.

Queste risorse potrebbero essere investite nelle scuole, magari per formare gli studenti ai tanti lavori verdi che già non vengono svolti. O per opere di prevenzione del dissesto idrogeologico che come dimostra i due casi contrapposti di Veneto e Lombardia, il primo più attrezzato della seconda ad affrontare le piogge intense di questi giorni, fanno davvero la differenza; o per porre rimedio alla siccità e allo spreco di acqua che ci fa buttare via fino al 60% dell'acqua potabile in alcune zone del Belpaese come la Sicilia ormai in situazione di penuria idrica gravissima.

Peraltro, le tecnologie e le soluzioni che possono ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili e aiutarci a adattarci agli effetti del cambiamento climatico esistono da anni, sono sempre più accessibili e prospettano davvero un roseo futuro: e vi dirò di più: sarebbero necessarie anche se il cambiamento climatico non esistesse. Perché l'inquinamento uccide ogni anno 450.000 persone prematuramente solo in Europa; la pressione sulle risorse è tale che quest'anno, il 24 luglio, consumeremo tutte le risorse che il pianeta produce; e siamo già 8,1 miliardi (erano solo 5 miliardi nel 1987). Le cose da fare (e da non fare) sono molte, ma in fondo abbastanza note: spinta forte rinnovabili e all’elettrificazione, reti, riduzione netta del fabbisogno energetico in tutti i settori, dalle case alle industrie ai trasporti all’agricoltura, riduzione della pressione sulle risorse e dei rifiuti, abbandono delle materie plastiche, dell’agricoltura intensiva e dei pesticidi; la novità è che per funzionare davvero devono essere fatte tutte insieme, con un senso di urgenza e di inevitabilità simile a quello sperimentato durante la pandemia e allo stesso tempo con grande ottimismo perché tutte hanno la vocazione di migliorare la nostra vita. È su questo che devono essere spostati investimenti e risorse, elaborando un piano di investimenti di livello europeo, ma molto più organizzato e ingente di Next Generation EU e costruito in modo da rendere possibile e facile il coinvolgimento diretto di banche e privati. E devono essere fatte cercando testardamente la partecipazione consapevole ed informata dei cittadini e delle cittadine, perché anche se non ci fossero ostacoli e andassimo tutti d’amore e d’accordo il cambiamento richiesto è profondo e deve essere fatto in modo da renderlo desiderabile e accessibile anche per i settori sociali più vulnerabili.

Insomma, invece di saltare da un Paese all'altro alla ricerca spasmodica di nuovo gas o di svuotare le casse pubbliche con sussidi per pagare le bollette per qualche mese nella speranza che il prezzo scenda, e allo stesso tempo ergersi a paladini della “casa degli italiani” disinteressandosi del fatto che si tratta in gran parte di case “colabrodo”, sarebbe molto meglio organizzare sussidi accessibili a chi ne ha veramente bisogno per isolare le proprie case e renderle più efficienti e confortevoli: in Europa ci sono più di cinquanta milioni di persone che non possono riscaldarsi o raffreddarsi decentemente e l’edilizia è all’origine del 40% delle emissioni e dei consumi energetici: è evidente che non è sovvenzionando le bollette fossili, costruendo nuovi gasdotti o addirittura centrali nucleari che si risolve il problema.  Dobbiamo concentrarci sulla ristrutturazione degli edifici, tenendo presente che con le tecnologie esistenti è possibile ridurre radicalmente il consumo energetico di una casa. Il tema della ristrutturazione degli edifici è quello forse più controverso e difficile da portare avanti in questo momento, soprattutto dopo il modo davvero nefasto in cui l’ottima idea del Super Bonus si è trasformata non solo in un boomerang ma anche in un enorme problema di bilancio e ha perso la carica positiva che aveva portato tutti e tutte, dall’ingegnere alla signora della porta accanto a interessarsi al risparmio energetico e ad investire sulle proprie case. E una casa “green” non è solo una casa che risparmia energia. Può addirittura produrla e sono molteplici ormai le tecnologie davvero rivoluzionarie: dall’illuminazione che può avere un effetto disinfettante oltre ad accompagnare la nostra giornata, ad apparecchi che aiutano a fare parlare fra loro i nostri elettrodomestici per usarli al meglio; a vernici speciali e isolanti possono aiutarci a risparmiare energia e a mantenere l’ambiente il più confortevole possibile. Per non parlare dei passi da gigante fatti da infissi e vetri, come le vetrate che garantiscono illuminazione naturale negli ambienti, assicurando il 70% di trasmissione luminosa e contemporaneamente bloccando due terzi del calore solare, riducendo in questo modo i costi di raffrescamento; E’ importante notare, peraltro, che molte delle imprese che lavorano sull’efficientamento energetico, soprattutto in materia industriale ed edilizia sono imprese europee!

Ma una casa non è solo un edificio. È spesso una parte importante di una città, di una comunità. Come di mostrano città come Malmoe o Copenhagen, Amburgo o Friburgo, affrontare in modo radicale il tema della ristrutturazione urbanistica e della gestione della mobilità, dei rifiuti e dei servizi alle persone non porta solo vantaggi nella qualità della vita dei cittadini, ma aiuta a considerare la città come un insieme integrato e armonioso in cui una soluzione in qualche modo “aiuta” l’altra:  una casa ben isolata utilizza al meglio le pompe di calore e ha bisogno di meno energia e può integrare più facilmente le rinnovabili e inquinerà molto meno. E se servizi pubblici e trasporti razionalmente distribuiti, ci sarà bisogno di meno spostamenti in auto, eccetera eccetera.

Oltre alla gestione della domanda e alla riduzione del bisogno di consumare energia, un altro elemento base del mondo nuovo che ci aspetta se lo vorremo è la generazione di energia senza emissioni: dobbiamo istallare le energie rinnovabili dove è efficace e opportuno, perché i pannelli solari o le turbine eoliche sono oggi più economici e più efficienti anche delle più moderne caldaie a gas. E una diffusione capillare delle "pompe di calore" seguirà presto, soprattutto se si smetterà di sprecare risorse pubbliche per incentivare vecchie caldaie a gas o ibride. L’istallazione di pompe di calore ha visto un aumento esponenziale con lo scoppio della crisi energetica. Nel 2022 le vendite sono aumentate del 38%, con circa 3 milioni di nuove unità comprate nel complesso dagli europei, cosa che ha convinto la Commissione UE a preparare un piano dedicato per raggiungere le 60 milioni di installazioni al 2030, contro i 20 milioni attuali.  A titolo di confronto oggi sono circa 20 milioni le pdc impiegate nel riscaldamento a livello comunitario. Purtroppo, però, in Italia l’enorme incertezza e gli “stop and go” governativi sul super-bonus hanno provocato una flessione delle vendite 34% nel primo semestre 2023, rendendo evidente che senza una politica pubblica che la accompagni in modo coerente, continuativo e compatibile con le finanze pubbliche, la sfida della transizione sarà molto più difficile.

In Italia c’è un diffuso scetticismo – abilmente orientato in Italia da ENI e SNAM - sulla possibilità che rinnovabili e tecnologie come le pompe di calore possano davvero sostituire del tutto e rapidamente il gas. Eppure, la tecnologia avanza a passi da gigante: ormai i sistemi di accumulo e le batterie sono soluzioni possibili al problema dell’intermittenza di sole e vento: certo è necessario investire ancora molto per migliorarle e portarle alla scala imponente che è necessaria, ma di certo è molto più razionale spingere su questo che su nuovi gasdotti o addirittura su un fantomatico e lontanissimo nucleare.

Peraltro, un aspetto poco sottolineato della transizione è che combinando tecnologie di risparmio energetico e rinnovabili, ognuno può gestire i propri consumi, liberandosi dall'ansia delle bollette e diventando veramente libero perché non più dipendente da un autocrate straniero o da una multinazionale fossile o nucleare per accendere le luci di casa. E se fino a poco tempo fa si doveva scegliere tra l'installazione di pannelli solari e la coltivazione di un campo, oggi con le nuove tecnologie agro-fotovoltaiche è possibile coniugare agricoltura di qualità e nuove energie. La transizione avanza infatti anche in campo agricolo e alimentare pur se tra molteplici ostacoli dovuti in particolare alla struttura della PAC e agli interessi costituiti che oggi dominano le decisioni sulla PAC. Le imponenti manifestazioni di qualche mese fa, se esprimono una reale inquietudine di un settore che si trova a dovere affrontare il dramma dei cambiamenti climatici e basse retribuzioni, sono state abilmente trasformate dalle lobby agro-industriali europee che insistono su un modello insostenibile di produzione intensiva basata su pesticidi, in una sollevazione contro il Green deal, che favorisce invece un modello agricolo meno inquinante e più resiliente, piu vicino alla richiesta di cibo di qualità a prezzi equi voluto dai settori più attenti ed avanzati dell’agricoltura. Inoltre, combinando tecnologie di risparmio energetico e rinnovabili, ognuno può gestire i propri consumi, liberandosi dall'ansia delle bollette e diventando veramente libero/a perché non più dipendente da un autocrate straniero o da una multinazionale fossile o nucleare per accendere le luci di casa.

Ma c’è un aspetto molto importante che mi preme sottolineare. Nessuna di queste soluzioni è valida per tutte le occasioni, per tutti i territori: anche una volta che ci siamo convinti che è urgente e conveniente agire, e che agire significa attuare misure inequivocabili per ridurre il consumo energetico e le energie rinnovabili il più velocemente possibile e investire pesantemente in misure di adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici, c'è ancora molto da discutere, da chiarire e da considerare per darsi gli strumenti per scegliere e decidere. Dove metto la turbina eolica senza rovinare il paesaggio ma anche senza porre ostacoli insormontabili alle nuove fonti energetiche non fossili? È meglio aspettare il gas "verde" (!?) o investire molto ora per ridurre la domanda di energia? È meglio isolare la mia casa ora o mettere un paio di maglioni in più e aspettare che il prezzo delle tecnologie più avanzate scenda? È meglio vivere in un grattacielo per concentrare i servizi e organizzare una nuova forma di vita comunitaria o uscire dalla città e riscoprire la natura e un ritmo diverso... Devo davvero rinunciare a viaggiare o posso farlo in modo diverso?  Insomma, non c'è un solo modo per fare la transizione ecologica ed è necessario costruire uno spazio di dibattito e di scelta consapevole e autonoma per i singoli e le comunità. Perché la costruzione di un nuovo modello economico suppone anche una nuova società, che sappia ritrovare al di là degli approcci culturali, delle opinioni e degli interessi diversi un senso di equilibrio, di coesione e di solidarietà che evita la contrapposizione e il conflitto ideologico.

Democrazia e partecipazione vanno fortemente rinnovate non solo per battere i cambiamenti climatici e l’inquinamento, ma anche per superare la combinazione tossica fra una polarizzazione spesso disinformata del dibattito politico, una criminalizzazione del dissenso sempre più concreta, elementi che portano dritti alla violenza, e la crescente esclusione di una parte della società, che non è in grado di essere coinvolta nelle grandi trasformazioni in atto.  I tragici conflitti che oggi infiammano il mondo e il fatto che sono potenze autoritarie a fomentarli ci racconta come democrazia e diritti umani, e il sostegno d di chi in quei paesi li difende, non siano un optional, ma la strada maestra per garantire vera pace. Perché la trasformazione ecologica NON è una successione di scelte tecniche o giuridiche: ci stiamo avventurando nella costruzione di un nuovo mondo e questo ci riguarda tutti e tutte.

Non partiamo da zero. In diversi Paesi europei sono state sperimentate forme di partecipazione e deliberazione che hanno restituito fiducia nell'esercizio della democrazia e migliorato il rapporto con le istituzioni e attraverso ricorsi e petizioni che hanno coinvolti milioni di persone, si sono portati ricorsi che hanno messo la lotta ai cambiamenti climatici tra gli obblighi giuridici per gli Stati. In Irlanda, un gruppo di cittadini scelti tramite sorteggio è stato alla base di una fondamentale riforma costituzionale che ha legalizzato l'aborto; in Francia, la Convenzione cittadina per il Clima convocata nel 2019 dal presidente Macron e composta da 150 cittadini/e tirati a sorte secondo criteri precisi, accompagnati da esperti e procedure ben codificate, ha lavorato per 9 mesi (purtroppo in pieno Covid) ha prodotto 149 proposte; il Presidente Macron aveva promesso di discuterle tutte o di sottoporle a referendum, ma solo 10% di quelle proposte sono state discusse “senza filtri”. Ciononostante, questa procedura ha dato luogo a numerose Convenzioni dei cittadini locali e regionali e sta diventando un modello di partecipazione conosciuto e accettato. E la Convenzione cittadina sul Fine vita si è conclusa con una serie di proposte su eutanasia e suicidio assistito a certe condizioni arrivate in Parlamento e discusse nell’ambito di un progetto di legge approvato in commissione e che sarà discusso il 27 maggio in Parlamento. Infine, last but not least, la Convenzione sul Futuro dell’Europa nonostante le grandi difficoltà poste dagli Stati membri e la loro totale indisponibilità a prendere sul serio i suoi risultati, ha rappresentato un momento importante di partecipazione e di dialogo tra europei ed europee e ha portato a 49 proposte di grande qualità, che se fossero applicate migliorerebbero enormemente l’efficacia dell’azione della UE e la sua legittimità.

Sono anche sempre più numerosi i ricorsi giudiziari contro l’inazione degli Stati sul cambiamento climatico. In Germania e in Olanda, un'azione legale contro l'inazione dello Stato sul cambiamento climatico hanno portato a modifiche delle leggi sul clima; in Francia l’azione “L’Affaire du Siecle”, che ha coinvolto milioni di francesi, ha portato la condanna dello Stato a “riparare” le conseguenze della sua inazione climatica; e una sentenza storica della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha riconosciuto il 9 aprile scorso, sulla base di un ricorso portato dalle Klima Seniorinnen, un’associazione di 2500 combattive ultrasessantenni, che lo Stato elvetico sta manifestamente trascurando lo sforzo concordato a livello europeo e mondiale per il rispetto degli obiettivi di riduzione dei gas serra e che il suo comportamento vìola alcuni fondamentali diritti umani. In Italia, nonostante importanti esperienze locali a partire dal bilancio partecipativo, abbiamo un lavoro più difficile davanti a noi. Perfino la magistratura, come menzionato sopra, appare meno consapevole e interessata a giocare il suo ruolo: a parte le repressioni ingiustificate del dissenso, che sono sempre un segno di incapacità di ascolto delle istanze dei cittadini, i giudici del Consiglio di Stato respingono regolarmente i ricorsi di associazioni e cittadini su temi ambientali e il Tribunale di Roma ha respinto lo scorso 6 marzo un ricorso chiamato “Giudizio Universale” portato da un gruppo di 24 associazioni e 179 individui coordinati da A Sud avanti con l’incredibile argomento che le decisioni su questo tema corrispondono alla politica, facendosi un baffo del nuovo articolo 9 della Costituzione sulla tutela dell’ambiente e della biodiversità, di svariate norme europee e degli impegni globali.

Nel 2018, Greta Thunberg, una ragazza svedese, è riuscita con l'aiuto di una potente campagna mediatica, dopo un'estate torrida nel suo Paese, a smuovere le coscienze di milioni di giovani e meno giovani, rendendo per la prima volta accessibile a tutti il grido della scienza, ma anche le possibili soluzioni e le positive opportunità di azione immediata. Il suo non è mai stato un movimento di protesta: è stata una chiamata urgente all'azione. Un desiderio di un mondo diverso. Questa esigenza è oggi ancora più forte: nonostante molte di queste iniziative partecipative rischino di dare risultati deludenti o addirittura di essere spazzate via dai conflitti in atto, dalle lobby miliardarie e dalle destre sempre più agguerrite, rimane indispensabile rispondere riattivando la grande energia che abbiamo visto con i movimenti sul clima, andando al di là delle piazze, inventando forme di mobilitazione più ampie intorno alla priorità climatica, che rendano più efficace e solidale l'azione di quella parte della politica, delle istituzioni, dei media, delle imprese, dei lavoratori e delle associazioni, che ha capito che non possiamo più aspettare, che non è possibile accettare di essere spazzati via dal prossimo incendio o dalla prossima alluvione o di essere agli ordini del tiranno di turno.

Non ci dobbiamo scoraggiare di fronte a questa sfida davvero epocale, resa ancora più difficile da guerre e conflitti che ci riportano a tempi che pensavamo, almeno in Europa, finiti per sempre e dalle crescenti instabilità e iniquità sociali che attraversano anche i nostri paesi. Mobilitiamoci invece di fronte all'enorme e affascinante sfida politica, intellettuale, etica e sociale del cambiamento climatico e del rafforzamento della democrazia, della libertà e dei diritti. Pensiamo allo sforzo di creatività collettiva che richiede, al nuovo "Rinascimento" che disegna e alla vera opera di "liberazione" che prepara. C'è ancora tempo. Ma non molto. Dipende solo da noi coniugare l'urgenza di agire e la volontà di vivere.

 

Brescia, 24 Maggio 2024