Quello che non ho detto in tv….riflessioni sulle frustrazioni dei talk show!


Partecipare a un « talk-show » per una come me che ha pochissime occasioni per farlo e molto da dire, rappresenta un’opportunità e una sfida. Un’opportunità, perché non é frequente portare in un dibattito molto poco propenso a discutere di merito approcci e proposte non proprio in linea con gli ultimi comunicati stampa di questo o quello, e che impongono un minimo di sforzo e un po’ di tempo per dimostrare che non si sta parlando fuoritema. Una sfida perché il tempo a disposizione é pochissimo e bisogna saper centrare con pochi messaggi il bersaglio di una comunicazione efficace.

Devo dire che mercoledi, partecipando all’ « Infedele » condotto da Gad Lerner, giornalista che apprezzo e stimo, ho miseramente fallito in questo doppio obiettivo.

La discussione sulla la crisi dell’Eurozona e dell’Europa tutta, sulla Grecia, sulle rigidità della Merkel, lo spazio alle dichiarazioni di Berlusconi sull’opportunità dell’uscita dall’euro e a Daniela Santanché sulla nuova crociata anti-Europa della destra (senza contraddittorio) si è concentrata sulla tragedia imminente e irreparabile sulla nostra testa, invece che sulle soluzioni possibili per porvi rimedio, come si fosse una vera e propria “cupio dissolvi” che come tutti sanno è la base per la spirale delle profezie che si realizzano proprio perché tutti pensano che cosi sarà più che perché sono inevitabili. Capisco bene che ognuno dà spazio a quello che ritiene importante e io non ho certo la verità in tasca, ma in cosa la drammatizzazione, le chiacchiere da bar di Berlusconi o le dichiarazioni demagogiche e senza alcun fondamento della Santanché ci aiutano a discutere delle vie concrete per uscire dalla crisi? In assolutamente nulla. Anzi aumentano la confusione imperante e soprattutto inducono a pensare che non c’è niente da fare, perché tutto è avviato ormai al disastro e non c’è altro da fare che rifugiarci nei nostri confini e tirare su il ponte levatoio, magari con qualche grido “dagli al crucco”..

Invece, io credo che ci sia davvero molto da fare e molto spazio di proposta e mobilitazione, per rimediare alle disastrose politiche di quegli stessi governi e forze politiche che si candidano oggi a continuare a gestire la crisi; e c’è anche un reale deficit di ascolto rispetto a proposte, che sono discusse e presentate da molti movimenti, esperti, gruppi, che però non sono quasi mai invitati a parlarne nei media cosiddetti “mainstream” ... E’ per questo che a Bruxelles il 28 giugno e a Roma il 9 luglio organizziamo con Sbilanciamoci, il gruppo di firmatari dell’appello “un’altra strada per l’Europa” a molti altri gruppi, movimenti, sindacati, ma anche partiti e deputati, due momenti di riflessione e proposta su come uscire dalla crisi cambiando l’Europa. C’è assoluto bisogno di rimettere in campo le idee e di organizzare le forze. Non credo al ”tutto politica” o al “tutto movimento”. Non mi piace chi diffida di tutto quello che si muove fuori dal “palazzo”, ma nemmeno sono d’accordo di chi fa della politica di tutt’erba un fascio.

Solo una sana “contaminazione” fra la buona politica e la società civile impegnata potrà davvero cambiare le cose e i rapporti di forza in campo, nei media, tra la gente, e anche nelle istituzioni.

Tre le cose che avrei voluto poter e sapere dire in TV (con meno parole, naturalmente!!)

Innanzitutto la Grecia e il rilancio del progetto europeo. Nonostante la scandalosa criminalizzazione di Syriza e la fastidiosissima sensazione che la definizione “sinistra radicale” corrisponda a un marchio d’inevitabile incapacità di discutere di economia e perfino di entrare in qualsiasi discussione credibile; nonostante gli aspetti di populismo non particolarmente costruttivo di quel partito, è un fatto che oggi la necessità di modificare o almeno dilazionare il Memorandum è accettata, almeno per quanto riguarda i tempi della sua messa in opera. Quindi, come molti di noi hanno sempre detto, nel vertice del 28 giugno sarà necessario riprendere la discussione sul Memorandum, dilazionandone i tempi di attuazione ed eliminandone gli aspetti più socialmente devastanti, dai tagli alle medicine, che hanno già oggi effetti devastanti, a quelli alle pensioni. D’altra parte, è importante dare visibilità fuori e dentro la Grecia a quei progetti limitati ma reali, per sbloccare e riorientare i miliardi europei a disposizione della Grecia (fra i 7 e 10 a seconda di chi parla) e oggi bloccati da una micidiale combinazione di burocrazia e incompetenza. Dalle energie rinnovabili (anche in Grecia splende il sole e anche la Grecia spende moltissimo per importare energia),alla formazione, alle proposte della Commissione per dare una mano immediatamente appunto con medicinali e altri strumenti di rapida applicazione che potrebbero dare una dimensione visibile alla solidarietà europea. E’ necessario perciò accompagnare dichiarazioni e parole su questo tema a precise domande e impegni, rapidamente: in queste settimane ci sono stati vari appelli e mobilitazioni di solidarietà con la Grecia, per un cambio deciso di politica e la riapertura del “cantiere” delle riforme del Trattato per permettere non solo eurobonds e modifica dello statuto della BCE, ma anche un bilancio europeo più sostanzioso e “verde”, una base legale per una politica fiscale che non imponga l’unanimità degli stati membri e coinvolga pienamente il Parlamento europeo. Questa è una strada che non è cosi impossibile come molti credono; peraltro, la crisi ha dimostrato che il famoso “realismo” ci porta alla rovina; e comunque vada l’ennesimo vertice europeo del prossimo 28 giugno, non sarà solo l’eventuale unione bancaria a salvarci dalla crisi! E’ necessario che anche il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali si sveglino, perché possono e devono agire al di là e oltre i governi e la Commissione: il Parlamento EU ha il potere di proporre leggi (anche se in modo indiretto) e modifiche dei Trattati. Perché non lo fa? E i parlamenti nazionali potrebbero, come ha fatto il Parlamento italiano in una recente mozione, legare la ratifica del “Patto Fiscale” a una serie di condizioni fra le quali il rilancio del processo di “comunitarizzazione” delle politiche per la ripresa e un riequilibrio democratico dei poteri di decisione nella UE.

Qualcosa si sta muovendo e non possiamo stare a guardare l’andirivieni da Bruxelles di Merkel, Barroso e compagnia. In Austria e Germania, Socialdemocratici e Verdi negoziano in questi giorni con i governi conservatori perché il loro voto è necessario per la ratifica; tra i temi aperti ci sono l’impegno per l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, anche attraverso un accordo fra i paesi che ci stanno (la cosiddetta “cooperazione rafforzata”), la rinuncia al taglio del bilancio comunitario, la prospettiva dell’introduzione di euro-bonds “parziali”, maggiori poteri al PE e queste non sono quisquilie.

In questo contesto, nonostante il ruolo molto positivo che Mario Monti gioca in Europa, (eccettuando qualche inutile eccesso liberista), le misure che il governo propone per favorire la famosa “crescita” in Italia sono ampiamente insoddisfacenti e dimostrano una curiosa incapacità di andare oltre un modello antiquato di sviluppo economico, nel quale non c’è alcuna visione strategica di quello che davvero serve per produrre occupazione e attività economica in tempi di cambiamenti climatici, di marginalizzazione crescente dell’Europa nel quadro mondiale e di urgenza nella definizione di un nuovo modello di sviluppo. Purtroppo questa miopia colpisce anche autorevoli esponenti del PD, come Pietro Ichino, che è intervenuto ieri sera in trasmissione, in modo molto ampio e per certi versi provocatorio; soprattutto questa idea ossessiva secondo la quale si esce dalla crisi tagliando i diritti a me francamente non va giù. Non credo proprio che qui a Bruxelles siano tutti in attesa di capire quanto facilmente si potranno licenziare i lavoratori. Il punto è che in Italia si parla tanto di “crescita”, ma non delle attività che danno lavoro. Gli investitori non vogliono necessariamente sapere che possono licenziare, e comunque se in un sistema che permette di scegliere tra 45 tipi di contratto in gran parte di lavoro precario non si riesce a crescere vuole dire che c’é altro da fare, no?

Vogliono sapere se troveranno i lavoratori capaci e motivati e se potranno puntare su attività capaci di innovare, di produrre, di stare sul mercato. E oggi le attività economiche vincenti, innovative e intense in forza lavoro sono in molti casi le attività VERDI: dalle energie rinnovabili, alla coibentazione delle case, ai trasporti in comune, alla cultura e il turismo, all’agricoltura di qualità, alla gestione delle aree, alla cura delle persone, eccetera. Attività che non possono essere delocalizzate e che fanno parte della « terza rivoluzione industriale » di cui abbiamo bisogno. Dalla ILO all’Agenzia per l’Energia, dalla Commissione europea all’UNEP, da Confindustria ai sindacati innumerevoli studi dimostrano che investire in efficienza energetica, rinnovabili, servizi, educazione e ambiente sono scelte da fare senza esitazione, per avviare la transizione verso una nuova economia. Altro che tunnel, autostrade e centri commerciali!!

E invece il governo Monti che fa ? Oltre ai pasticci sulle rinnovabili, alla vigilia del viaggio in Messico per il G20 e a Rio per i negoziati sul clima, approva un decreto che appare come un’ennesima occasione persa. Concede di trivellare petrolio , riduce gli incentivi per rendere più efficienti le case e, come dice Legambiente « lancia un messaggio sbagliato al settore delle costruzioni perché mette sullo stesso piano interventi innovativi e non, con uguali incentivi sia per quelli che producono risparmio e benessere che per quelli che sprecano energia e usano materiali vecchi, insicuri e inquinanti. »

Ancora non ci siamo, insomma. Ma arrendersi e pensare che sia tutto inutile non é un’opzione accettabile !