La Presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola ha definito la scandalo cosiddetto Qatargate e sempre più Maroccogate come un “attacco alla democrazia europea” e si sono usati da più parti toni apocalittici per definire il pericolo per la legittimità e credibilità del PE e della UE in genere rappresentato dalle mazzette di denaro del valore di 1,5 milioni di euro trovate dalla polizia belga e l’arresto in flagrante di una Vicepresidente del PE, Eva Kailli, un ex deputato, Antonio Panzeri e il suo ex assistente Francesco Giorgi e di Niccolo Figà Talamanca, responsabile di “Non c’è pace senza giustizia”, una prestigiosa ONG attiva dagli anni ’90, dalla storia piena zeppa di progetti importanti per i diritti umani di tanti perseguitati; sono poi coinvolti, ma ancora senza procedimenti a loro carico altri due eurodeputati socialisti, Marc Tarabella e Andrea Cozzolino. Ciò che sta emergendo dalle indagini è, pur se vale sempre e per tutti e tutte la presunzione di innocenza, il tentativo di influenzare con l’aiuto di regalie e contanti le decisioni del PE da parte di alcuni governi non esattamente rispondenti ai criteri dello stato di diritto. Senza tanti complimenti, la comunicazione che sta passando è che il Parlamento europeo e per estensione le istituzioni europee siano molto accoglienti per lobbisti e spie e che i deputati siano facilmente permeabili a influenze oscure.
L’inchiesta farà spero chiarezza velocemente, ma credo che ci siano quattro cose che il Parlamento europeo può fare immediatamente per ristabilire la sua credibilità; pur se, sia chiaro, per adesso lo scandalo coinvolge solo pochi individui ed è inaccettabile mettere sullo stesso piano chi ha accettato regalie e denaro e chi è “sensibile” agli argomenti portati avanti da alcuni di questi lobbisti di Stato.
La prima cosa da fare è rimettere mano molto rapidamente alle norme che regolano i rapporti di deputate e deputati con i portatori di interessi, allargandoli anche ai rappresentanti dei governi. Per ora infatti, questi erano esclusi dal registro per entrare al PE; questo è difficilmente comprensibile perché la pressione esercitata da diplomatici e rappresentanti di governi vari attraverso le delegazioni parlamentari specificamente costituite per i rapporti con tutte le regioni del mondo è sempre stata molto esplicita. Una delle funzioni esercitata da sempre dal PE è quella di “occhio della comunità internazionale”: il PE ha sempre cercato di rendere visibile attraverso l’adozione di risoluzioni che ai più magari non dicono molto, ma che possono rappresentare un sostegno importante per attivisti e difensori dei diritti umani un po’ ovunque e che sono state sempre fastidiose per molti governi. Quindi quando si dice che il PE non ha ruolo in materia di politica estera non è esattamente vero. Sennò Qatariani e Marocchini, ma anche via via Turchi, Cinesi, Messicani, eccetera non avrebbero speso cosi tanti sforzi per contattare e cercare di moderare alcune prese di posizione da loro considerate inopportune. Ovviamente non stiamo parlando di “corruzione”, ma di pressioni e tentativi di convincere su questa o quella posizione che non sono di per sé vietati. Ma una maggiore trasparenza sulle riunioni e su chi specificamente si incontra, come già succede per le imprese e le ONG, sarebbe già un cambio importante rispetto all’opacità attuale. Come sarebbe importante estendere a tutti e tutte le deputate e deputati l’obbligo di dichiarare gli incontri che fanno, oggi limitato ai relatori e ai Presidenti di commissione, un maggior rigore nel rispetto del codice di condotta e una limitazione delle attività remunerate possibili accanto al mandato parlamentare. Questo tema coinvolge anche la Commissione, che pur ha regole molto chiare: per esempio l’ex Commissario Avramopoulos aveva chiesto di collaborare con Fight Immunity, la ONG di Panzerio prima della fine del suo periodo transitorio di 18 mesi; l’autorizzazione gli è stata data anche se la ONG di Panzeri non aveva sottoscritto al Registro obbligatorio…
Altra proposta che deve essere rapidamente messa in campo, pur con molta prudenza ed evitando caccia alle streghe e censure sulla libera attività degli e delle elette è quella di un vero e proprio comitato “etico” indipendente, che sostituisca l’attuale organismo che, nonostante siano stati segnalati 24 casi di violazione del codice di condotta degli eurodeputati ha agito solo in uno.
Ma il PE non deve solo fare pulizia di procedure e codici di condotta. Deve valorizzare e rivendicare ancora di più il suo ruolo di guardiano della vita democratica nella UE, di promotore di trasparenza a partecipazione, di riflettore sulla situazione dei diritti umani e civili nel mondo e di sostegno alle e ai loro difensori. Ecco perché è fondamentale non farsi intimidire dalle dichiarazioni di personaggi come Orban o Erdogan; è evidente che hanno tutto l’interesse a delegittimare tutta l’istituzione, che regolarmente ne sottolinea le malefatte.Il sostegno agli oppositori e oppositrici dei regimi dispotici, la denuncia delle violazioni dei diritti, dall’Iran all’Afghanistan, all’Ucraina, alla Russia, alla Cina alla Siria, allo Yemen devono essere maggiormente valorizzate e rigorosamente basate su fatti, dibattiti in aula e audizioni regolari; oggi questo deve essere fatto più e meglio di prima, chiamando anche Commissione e Stati membri a discutere delle loro ambiguità che persistono anche oggi di fronte agli orribili orribili fatti in tanti luoghi del mondo. Terza azione davvero fondamentale per il Parlamento europeo nel 2023 è aprirsi molto di più alle istanze dei cittadini e cittadine, e in particolare evitare che l’esercizio della Conferenza sul Futuro dell’Europa, che ha coinvolto tra il 2021 e il 2022 migliaia di associazioni e persone da tutta la UE e ha prodotto 49 proposte di riforma importanti e molto pertinenti, finisca su un binario morto; rischio più che reale data l’opposizione di numerosi governi a mettere mano a questioni spinose come i poteri del PE e dei cittadini nel processo decisionale della UE o al potere di veto su questioni centrali, diritto di veto che è che è oggi il cancro che mina l’Europa e le impedisce di agire. Come? Dando visibilità e ruolo ai partecipanti alla Conferenza, riprendendone ancora più direttamente le proposte, organizzando delle vere e proprie campagne intorno ad esse; e non abbandonando l’idea di una riforma democratica della UE, richiesta principale della Conferenza sul Futuro della UE e sulla quale il Parlamento discute in modo ancora troppo pigro e burocratico. Quarta e ultima azione sulla quale il Parlamento europeo deve essere più rumoroso e visibile nel 2023 è la realizzazione del Green Deal, strumento cruciale per la lotta ai cambiamenti climatici. Sono oggi in bilico impegni e normative ambiziosi in materia di politica energetica, di economia circolare, di aiuti di stato, di spesa “in verde” di fondi e risorse europee; le lobby fossili sono in piena azione con le loro ingentissime risorse; molti stati membri stanno frenando con tutti e due i piedi sulle ambizioni in queste materie e esitano a prendere obblighi chiari preferendo mantenere autonomia e libertà di azione per non assumere davvero gli impegni necessari a realizzare gli obiettivi emissioni zero nel 2050 che sono davvero a rischio. Il PE deve ascoltare e ancora una volta essere anche la tribuna delle istanze di tutti quei giovani e meno giovani che oggi si battono per un radicale cambio di velocità nella lotta ai cambiamenti climatici e che sono ancora troppo poco ascoltati.
Insomma, comunque finisca il Qatargate, il PE deve agire, rapidamente e con efficacia e ha tutti gli strumenti per farlo davvero dimostrando con i fatti che davvero il Qatargate è un affare di poche “mele marce”: perché l’UE ha bisogno di un’Assemblea aperta, forte, credibile e che prenda davvero sul serio il suo ruolo di rappresentante degli europei ed europee.
Monica Frassoni
30 dicembre 2022
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