PER « UN’INSURREZIONE » DEL PARLAMENTO EUROPEO


Una lettera aperta di Nichi Vendola, Giorgio Airaudo, Laura Boldrini, Monica Frassoni, Giulio Marcon, Gennaro Migliore Non crediamo che in Italia ci si sia davvero resi conto della portata e della gravità delle decisioni del Consiglio Europeo dell’8 febbraio scorso, quando i Capi di Stato e di Governo, che si pretendono unici proprietari dell’UE, hanno deciso di ridurre il bilancio comune dei prossimi 7 anni apportando un taglio di 34 miliardi di euro, rispetto al precedente bilancio previsionale 2007-2013, e come tetto invalicabile meno dell’1 per cento della ricchezza prodotta nell’Unione. E con una differenza fra gli impegni e i pagamenti reali cosi importante, da rendere cronica l’incresciosa situazione di lanciare programmi e spese che poi non si potranno finanziare, come già é accaduto quest’anno. Lungi dall’essere una considerazione « infantile », é un fatto che i soldi riportati in « patria » dal Professor Monti sono una vittoria di Pirro sulle macerie della casa comune, che lui non ha mosso un dito per salvare. È accaduta, l’apoteosi del rigore senza equità, nel peggiore dei mondi possibili; nel mezzo di una recessione che dura da anni e che va aggravandosi, quale che sia il livello dello spread. Con la Grecia che è stata scaraventata nella miseria e sui muri delle cui città gli arrabbiati scrivono: «Non salvateci più!». Non era accaduto mai finora ; che i governi europei dimenticassero in questo modo le ragioni per cui l’UE è nata, la sete di democrazia ritrovata che l’ha ispirata, il Welfare che ha dato forza, e non debolezza, al suo speciale capitalismo postbellico. E questo, proprio quando il contrario dovrebbe accadere: se gli Stati hanno pochi soldi in cassa devono in qualche modo far quadrare i conti, l’unica speranza è che sia l’Europa a «fare crescita», a mobilitare tutte le risorse disponibili non per sostenere la vecchia industrializzazione ma per aiutare a nascere un’economia nuova, la sola che possa riportare il continente al centro del mondo: l’economia verde, la ricerca, l’istruzione, e non la vecchia automobile per tutti ma i trasporti comuni a disposizione di tutti. Per farlo l’Unione ha bisogno tuttavia di risorse proprie, perché solo se disporrà di un proprio bilancio potrà renderci indipendenti dalle pressioni nazionaliste, dalla concorrenza dei nuovi Paesi emergenti, e da chi, nei singoli Stati, protegge i grandi cacciatori di sovvenzioni, i padroni della finanza e dell’industria. Non vogliamo che gli Stati versino loro contributi all’Europa, in sterili conciliabili dove gareggiano in taccagneria. Comunque sono i soldi dei cittadini che usano, abborracciando i loro miseri bilanci comunitari. E allora, se le cose stanno così, che si introducano, per aumentare il bilancio UE e renderlo degno di questo nome, le nuove imposte del futuro che sono la Tobin tax sulle transazioni finanziarie, e la Carbon tax sui produttori di anidride carbonica. Guadagneremo su due piani: raccoglieremo risorse ingenti, e rispetteremo il clima. Non a caso i governi guardano ambedue le tasse in cagnesco: la prima vorrebbero iscriverla nei bilanci nazionali per tappare i propri buchi, la seconda l’hanno gettata nel cesto delle immondizie. Ma, oggi, é importante sapere che non é detta l’ultima parola; e che faremo di tutto perché l’operazione non riesca: nel prossimo governo italiano, se vinceremo, e nel Parlamento europeo, per la cui rinascita decidiamo sin d’ora di combattere. Infatti, pochi l’hanno notato, ma la partita sul bilancio comunitario non é ancora finita. Manca ancora la decisione del Parlamento Europeo. Secondo l’art. 312 del Trattato di Lisbona senza la sua autorizzazione, nessun bilancio potrà passare. E non é un caso se, all’indomani del vertice, all’indomani dell’acquiescenza scandalosa della Commissione di Barroso a questo accordo vergognoso che cancella d’un tratto la battaglia per un bilancio europeo ambizioso che pur ha tentato di fare, il Presidente del Parlamento Europeo ha annunciato che questo accordo era inaccettabile per la sua Assemblea e i presidenti dei quattro gruppi maggioritari al PE (PPE, PSE, Liberali e Verdi) hanno sottoscritto un documento importante di cui troppo poco si é parlato nel quale si descrivono le ragioni del rifiuto. Noi ci appelliamo direttamente ai rappresentanti di questa Europa sempre meno unita eppure così necessaria, perché non cedano di fronte alla responsabilità storica che oggi hanno. Perché facciano il loro dovere e conducano fino in fondo la battaglia di democrazia che hanno annunciato di voler fare. E allora boccino questo accordo meschino. Prendano sul serio l’appello personale che Helmut Schmidt rivolse al Presidente Schultz nel dicembre 2011 per un’«insurrezione del Parlamento europeo» e per la democrazia.  Noi saremo al loro fianco in questa battaglia. Perché, ormai lo sappiamo, le battaglie progressiste si fanno oggi su due piani in contemporanea: nelle nazioni e in Europa, guardando le cose da vicino e da lontano, con gli occhiali cosmopoliti che da tempo Ulrich Beck ci chiede di inforcare.
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