M5S E IL NO DEI LIBERALI-DEMOCRATICI IN UE, MA QUALE ESTABLISHMENT?
E così, dopo i Verdi, anche i Liberali hanno respinto l’adesione del Movimento Cinque stelle al loro Gruppo al Parlamento europeo.
Sarebbe un errore pensare che queste decisioni siano state prese in modo superficiale o per partito preso. Almeno per quanto riguarda i Verdi, i quali hanno seguito un metodo diverso da quello di Guy Verhofstadt, organizzando una discussione interna e un voto prima di iniziare a definire i termini concreti di un possibile accordo di adesione al Gruppo dei Verdi-alleanza Libera europea dei deputati del M5Stelle.
I Verdi sono sempre stati interessati a un dialogo con il M5Stelle. Al Parlamento europeo si lavora insieme su molte cose importanti, dal cambiamento climatico, all’ambiente, all’energia, alla battaglia contro la grande coalizione PSE-PPE - che soffoca l’azione del Parlamento a favore di un’Europa diversa e che, si spera, sia davvero finita con la partenza di Martin Schulz - a quella contro l’elusione e l’evasione fiscale. Nonostante il Gruppo con Farage e le posizioni sostanzialmente leghiste del fondatore e di alcuni esponenti di spicco del Movimento sull’immigrazione, anche su diritti civili e rifugiati ci sono state molte convergenze con gli eletti 5 Stelle a Bruxelles. Il dibattito interno all’interno dei Verdi è stato acceso, non sono mancate voci favorevoli all’inizio di conversazioni più concrete.
Ma un gruppo politico non è un autobus, dal quale si sale e si scende a volontà. Per gli eurodeputati Verdi, nella cui discussione sono stata coinvolta per il mio ruolo di co-Presidente del Partito Verde Europeo (oltre che di italiana), e del quale ho informato e discusso con la famiglia verde nazionale, i motivi per i quali, dopo una discussione circostanziata, è stata rifiutata la proposta di aprire un negoziato con il M5S sono sostanzialmente tre.
Il primo è la fondamentale ambiguità (per usare un eufemismo) del Movimento rispetto alla costruzione europea. I Verdi, pur con accenti diversi, sono profondamente europeisti e rifiutano con decisione ogni tentazione nazionalista o di delegittimazione delle istituzioni europee. Il nazionalismo è guerra. Senza Commissione, Parlamento e Corte di Giustizia, senza leggi e regole sovranazionali, restano solo i rapporti di forza fra gli Stati. L’UE ha limiti politici e istituzionali contro i quali ci siamo sempre battuti con coerenza, spesso in solitudine, da molto prima che nascesse il M5S. Ma non crediamo che ristabilire le frontiere, fomentare la divisione e l’ostilità fra le persone e i popoli, chiacchierare di una presunta riconquistata sovranità, perdere tempo a sognare il ritorno alla lira, ci faccia avanzare. Anzi. Saranno proprio coloro che oggi soffrono di più delle folli politiche di austerità a essere le prime vittime della fine del sogno europeo.
Non sono belle parole. Per combattere i cambiamenti climatici, fermare gli evasori piccoli e grandi, chiudere i paradisi fiscali, sconfiggere le forze della finanza predatrice, promuovere la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini, preparare la grande trasformazione ecologica, avviare un’economia diversa, temi che Grillo e i suoi da sempre sostengono, c’è assoluto bisogno di una struttura sovranazionale che funzioni, e non di chiudersi in piccole patrie irrilevanti nel grande gioco mondiale. Su questo tema il Movimento è ambiguo: dà un colpo al cerchio – cercando di rubare voti ai leghisti – e uno alla botte – cercando l’accordo con Verhofstadt a Bruxelles.
Ci sono poi le posizioni sempre più estreme di Grillo e di alcuni importanti esponenti del Movimento sul tema dell’immigrazione e delle politiche di accoglienza: “chi non ha diritto di asilo fuori subito”, un’inaccettabile semplificazione e dimostrazione di un cinico opportunismo che gioca con la vita delle persone senza tenere conto della realtà concreta di un fenomeno difficile e strutturale, che può essere gestito solo evitando di fomentare paura e risentimento.
Infine, c’è la mancanza di democrazia interna e di autonomia degli eletti del M5S e la strana relazione con un’impresa privata, la Casaleggio Associati, elementi che appaiono agli occhi dei Verdi europei come l’espressione di una cultura politica autoritaria, in totale contrasto con la dichiarata ambizione di favorire partecipazione e trasparenza.
Sul blog di Grillo si legge che la ragione di questo rifiuto è il timore di fronte a uno stravolgimento degli equilibri interni dei Verdi europei. In realtà il Gruppo è già abbastanza “vario”, dato che accoglie, oltre ai Pirati, degli esponenti dei partiti regionalisti di alcuni paesi, dalla Scozia alla Catalogna; non abbiamo mai avuto paura della diversità. Direi piuttosto che c’erano perplessità di fronte a un metodo di battaglia politica che fa dell’attacco sistematico, anche personale, e del repentino cambio di fronte, una pratica comune, cosa che rende il M5S un imprevedibile compagno di viaggio.
Peraltro, l’insistenza del M5S nel mantenimento di un’assoluta autonomia nei voti e nelle prese di posizione è problematico per i Verdi. Per noi il Parlamento è un luogo di battaglia politica sull’Europa, non una succursale di Montecitorio o, peggio, della Casaleggio Associati. Il Parlamento europeo è uno dei luoghi nel quale si prendono decisioni che intervengono direttamente sulla vita dei cittadini attraverso le politiche e le regole europee. Ci sono discussioni anche aspre tra noi. Ma c’è anche uno sforzo di coesione e di unità transnazionale che ci fa cercare di dire le stesse cose su temi importanti che varranno ad Atene come a Berlino.
Molti pensano ancora che l’Europa sia solo un posto per grigi burocrati e che la politica sia un’altra cosa. Invece si sbagliano. Nella vicenda di indubbio interesse della collocazione del Movimento 5 stelle nell’Europarlamento, le questioni che si sono poste sono importanti e squisitamente politiche. E’ comprensibile che, giunti alla metà di una legislatura europea molto turbolenta, il M5S si sia posto il tema di continuare o no il gruppo con Nigel Farage. Ciò che forse la leadership del Movimento e della delegazione al Parlamento (dato che si è trattato di una decisione di vertice, neppure i deputati ne sapevano nulla!) hanno sottovalutato è il fatto che non c’è più molto spazio per un’adesione solo “tecnica” a una famiglia politica europea e per una collocazione opportunistica al Parlamento. E che non si può pretendere di entrare in casa d’altri rimanendo assolutamente liberi di fare e disfare come si vuole, senza porsi il tema della lealtà e coerenza rispetto ai compagni di viaggio. A differenza dell’Italia, in Europa non si può rifiutare di parlare di alleanze e gli eventi di questi giorni dimostrano come sia necessario almeno provare ad agire in modo da non dare la sensazione ai possibili partner di essere presi in giro.
A me pare che questo sia un fatto molto positivo. Perciò, se il tentativo del M5Stelle di liberarsi dell’ingombrante compagnia di Farage va rispettato, molto meno convincente è il modo in cui questo si è fatto, tenendo il piede in più staffe e goffamente tentando di giustificare tutto e il suo contrario; dimostrazione forse che alla base non c’era da parte di tutti una sincera volontà di lavorare positivamente in Europa con quelle forze politiche che la vogliono cambiare e rafforzare, ma, una mera volontà di potere e di maggiore libertà di azione nel Parlamento, col fine di rafforzarsi in Italia.
Basta vedere la lettera di arrivederci di Grillo a Farage, nella quale lo si elogia per la vittoria del referendum per la Brexit, si auspica di incrociarsi di nuovo e gli si augura una brillante carriera di ambasciatore negli USA di Trump. O la dichiarazione davvero imbarazzante e oltremodo maldestra di Di Maio, che, dopo la levata di scudi di parte della militanza, afferma che l’accordo “è solo tecnico” e che se non lo fosse sarebbe un errore: una capriola per rassicurare sia la pancia euroscettica del movimento, sia la sua forte componente antiliberista. Il tutto nello stesso giorno della pubblicazione di una bozza di accordo fra il Gruppo liberale e il M5S di stampo decisamente pro-europeo, nel quale si dice chiaramente che l’orizzonte è quello di un’Europa diversa, ma più forte.
E’ chiaro perciò che il M5S, esattamente come i Verdi avevano anticipato, non hanno intenzione di scegliere una loro linea chiara sull’Europa e hanno posizioni e pratiche su temi davvero importanti che sono incompatibili con noi e, a quanto pare, anche con i liberali. In particolare, continuano a strizzare l’occhio alla parte più retriva e nazionalista dell’opinione pubblica, giocando con le parole e sfruttando e amplificando la loro rabbia. Una linea probabilmente non unanime nel Movimento, ma che spinge i possibili partner a non fidarsi, nonostante la cortesia del capogruppo Borrelli e il buon lavoro, che tutti auspichiamo continui, con alcuni eurodeputati.
Dopo questa brutta giornata, Grillo e i suoi hanno già cominciato a battere la grancassa dell’unico partito anti-establishment per giustificare la loro disavventura europea. Sicuramente riusciranno a convincere una parte importante della base, che continuerà a riversare insulti e male parole a tutti noi. E così sia. Ma la discussione sul ruolo del M5S in Europa non finisce qui, se non altro perché il consenso di cui gode rende rilevante per tutti questa loro scelta di cedere alla tentazione euroscettica e leghisteggiante, invece di rafforzare il fronte della riforma democratica della UE e trasformarsi in un attore anticonformista certo, ma anche democratico e capace di costruire convergenze ed alleanze con le parti più avanzate e costruttive della società.
Sta al M5S scegliere da che parte stare in questo momento cruciale della nostra storia comune di italiani ed europei.