LA SCONFITTA DI ORBAN SUI MIGRANTI E LA CONTRO-RIVOLUZIONE DEL GRUPPO DI VISEGRAD


orban_viktor_2011-01-07Il referendum ungherese ha un chiaro sconfitto, il Primo Ministro Orbàn. Contrariamente a quanto da lui dichiarato, non potrà sventolare nessun mandato dal popolo ungherese per impedire la cooperazione Ue sulla questione dei rifugiati: la maggioranza degli elettori ungheresi ha rifiutato di sostenere la sua campagna basata sulla paura e sull'allarmismo. Questo risultato è ancora più importante se consideriamo le risorse ingenti che Orbàn ha destinato a una campagna largamente dominata dalla retorica e dai propositi xenofobi del Primo ministro e dei suoi alleati. Eppure, non possiamo rallegrarci troppo del risultato: non solo perché più di 3 milioni di elettori su 8 milioni di aventi diritto hanno con gioia seguito le indicazioni del governo per bloccare l'arrivo di poco più di 1000 eventuali rifugiati, ma anche e soprattutto perché questa campagna era destinata a fomentarne altre e verrà seguita da un'iniziativa di modifica della costituzione senza alcun ostacolo in un parlamento del tutto addomesticato, nel quale le procedure sono state stravolte e permettono di presentare e adottare una norma in un giorno, a seconda dei desideri dell'esecutivo. Orban ha potuto condurre la sua indegna campagna nel silenzio totale del partito popolare europeo, il quale, tranne qualche sparuto vagito, ha da tempo rinunciato a reagire alle intemperanze di questo suo esponente così pericoloso. E questo non è affatto un dettaglio irrilevante. Come già accaduto ai tempi di Berlusconi e della dura battaglia sulla necessità di presentare una proposta di direttiva sulla libertà dei media e del pluralismo (battaglia persa dal parlamento europeo soprattutto a causa dell'indisponibilità della Commissione e dell'allora Commissaria Reding), la mancanza di reazione da parte delle autorità europee al progressivo smantellamento da parte del Primo ministro ungherese dell'indipendenza della stampa e del sistema di contrappesi e controlli propri di ogni regime democratico, ha reso finora impossibile agire contro la robusta azione "contro-rivoluzionaria" di Orbán in Europa. Questa "contro-rivoluzione" ha il chiaro obiettivo di depotenziare ogni sovranità comune europea fino a cancellarla del tutto e di promuovere il programma conservatore e illiberale di Orbán insieme ai compari del gruppo di Visegrad. Pochi hanno detto con chiarezza che questo referendum, se anche fosse passato, non avrebbe avuto alcun effetto giuridico, dato che non si possono indire referendum su legislazioni adottate a livello europeo. Se passasse questo principio, se cioè la supremazia del diritto comunitario potesse essere contestata da chiunque, ogni stato membro si inventerebbe qualcosa che non piace e comincerebbe a organizzare referendum su referendum. Invece di ammetterlo esplicitamente, si è preferito far finta di nulla e aspettare i risultati incrociando le dita. E in ogni caso, riguardo la questione specifica del ricollocamento, Orbán ha molti sostenitori che si comportano esattamente come lui pur senza referendum, dalla Francia di Hollande alla spagna di Rajoy. Non possiamo perciò sottovalutare la "tossicità" di queste iniziative, in particolare sul tema sensibile delle migrazioni: esse alimentano pregiudizi, paure e discriminazione senza offrire alcuna soluzione rispetto sia alla realtà dei bisogni di migliaia di persone, sia agli obblighi legali che vincolano le istituzioni comunitarie e gli Stati membri a distribuire in maniera equa tra ognuno di loro il dovere di garantire assistenza e protezione internazionale ad almeno una parte di coloro che fuggono da guerre e repressioni, disastri ambientali ed estrema povertà. Come fare per ribaltare la logica mortifera e sempre più invasiva degli Orbán d'Europa? Io penso che esistano solo due strade percorribili: è evidente che se il fronte democratico non combatte davvero ha già perso. Se ci si ostina a non rispondere alle menzogne e a non organizzare un dibattito pubblico aperto che riesca a spiegare perché una società che accoglie è alla fine più sicura e forte di una che si chiude e discrimina, e perché una integrazione europea democratica può ancora funzionare ed è anzi indispensabile, allora non ci si può stupire più di tanto dei successi populisti. In secondo luogo, l'Unione europea deve cambiare priorità e smettere di perseguitare con accanimento il Portogallo, la Grecia o l'Italia perché vogliono evitare di ridurre drammaticamente le pensioni o lanciare un piano per la messa in sicurezza del territorio, mentre allo stesso tempo non muove un passo per proteggere i diritti delle opposizioni e delle minoranze in un numero crescente di paesi membri: non ci sarà granché da fare per salvarla, altrimenti. Solo ritrovando la propria anima di patria dei diritti e spogliandosi di quella del contabile freddo, l'Europa ritroverà se stessa. Bruxelles, 04 Ottobre 2016