Intervento al seminario del Partito Democratico


Il 1° giugno di quest’anno, Joschka Fischer ex ministro degli esteri tedesco notava come per uscire dalla crisi globale che ci attanaglia sia necessario rispolverare senza timidezza e senza compromessi il progetto degli Stati Uniti d’Europa. E notava anche che poiché l’Italia e il Regno Unito si sono volontariamente messe fuori gioco, questa discussione non puo’ che rimanere nelle mani di Francia e Germania. Anche se come sempre Fischer sposa una discutibile visione intergovernativa dell’UE, dove il ruolo delle istituzioni integrate PE e Commissione rimane limitato , é secondo me importante partire da queste due considerazioni – “dobbiamo rilanciare il progetto européo” e “l’Italia è fuori gioco”- per riflettere all’agenda progressista dei prossimi anni, in questo 150° compleanno dello Stato italiano. Una riflessione che non può dimenticare la grande occasione persa nel periodo in cui 13 Stati europei su 15 erano governati da coalizioni di centro-sinistra: dal rifiuto di puntare a un rafforzamento democratico della UE in quegli anni vengono molti dei nostri guai attuali. E che deve tenere conto del fatto che la marginalizzazione dell’Italia dipende anche dal modo di stare sulla scena internazionale del suo attuale governo oltre che dall’immobilismo della sua società e del suo sistema economico.

Gli eventi degli ultimi anni ci mettono di fronte alla realtà di un progetto europeo che ha smesso di avanzare e che rischia ogni giorno, su ogni punto - dalle direttive più apparentemente tecniche alle prospettive finanziarie, alla politica estera comune- di tornare a politiche e metodi di decisione nazionali; questo ha come effetto una devastante divisione, l’incapacità di agire e a termine la completa irrilevanza europea, come ben si è visto a Copenhagen o in occasione del mancato viaggio di Obama a Madrid o nella persistente impasse in Medio Oriente. Ha anche come effetto scelte politiche sciagurate, che non risolvono le crisi che ci stanno di fronte (vedi Grecia) e rafforzano sempre di più non solo le destre, ma anche forze politiche populiste ed estreme, senza prospettare alcuna soluzione sostenibile.

Per uscire da questa trappola (EU debole, destre più forti, politiche sbagliate, EU ancora più debole…) è indispensabile disporre di un progetto per l’UE che prospetti scelte comprensibili e concrete, ma che deve anche essere in grado di fare sognare: non riusciremo a cambiare il corso della nostra lenta decadenza senza istituzioni democratiche ed integrate, ma non riusciremo ad avere un consenso reale intorno a queste senza un progetto di futuro che i cittadini, i media, le forze economiche percepiscano come utile e vincente. E secondo me, questo progetto mobilizzatore, che prospetta un’Europa unita, solidale, innovativa e capace di rispondere positivamente alle grandi sfide globali (quelle ecologica ed economico-sociale, quella della democrazia e della libertà individuale) non può che essere quella che noi abbiamo chiamato il Green New deal o come a me piace di più chiamarla, la rivoluzione verde; una rivoluzione non violenta che rifiuta collettivismo e produttivismo come orpelli del passato. Che si basa sul fatto che le risorse scarse del pianeta ci impongono un cambio radicale del nostro modo di produrre e vivere. Che ha l’ambizione e la convinzione di pensare che questo cambio radicale sarà felice. Che pensa che essere riformisti oggi non significa scendere a compromessi molli, ma cambiare il mondo in profondità sapendo allo stesso tempo conquistare un largo consenso democratico e coinvolgere le forze migliori della società. L’ecologia politica pone l’accento sul legame stretto che esiste fra le soluzioni possibili alla crisi finanziaria, ai cambiamenti climatici, alla crisi del lavoro e della società, rispondendo ai problemi della vita quotidiana delle persone: insomma é una proposta “rivoluzionaria”, che innova e comprende la parte migliore della sinistra e del liberalismo democratico, non é semplicemente una pennellata di verde alla politica corrente e supera la grande illusione della «terza via».

Che sia possibile guadagnare consenso intorno a questo approccio mi pare evidente.

E’ un fatto che le uniche forze progressiste che hanno vinto le elezioni europee, laddove esistevano come forze organizzate credibili, c’erano leaders e militanti competenti e sono riuscite ad avere uno spazio serio di dibattito nei media, sono state le liste Verdi e ambientaliste. Cosa che non è cambiata anche dopo lo scoppio della crisi. I Verdi tedeschi stanno oggi al 18% nei sondaggi, in Ungheria un partito verde nuovo e giovane ha oggi 17 deputati, Europe Ecologie in Francia è al governo nella stragrande maggioranza delle regioni e ha consolidato il risultato europeo; perfino nel Regno Unito si è riusciti ad eleggere una battagliera deputata verde a Westminster, in Olanda e Belgio i Verdi sono stabilmente presenti nel dibattito politico con percentuali a due cifre. Ma questo non basta, dato che questi risultati sono ottenuti nel quadro desolante di un dominio maggioritario della destra in Europa e in una situazione di reale regressione democratica in vari paesi, Italia in testa.

Insomma, questa sfida non appartiene solo ai Verdi e agli ambientalisti. Se pensassimo questo, non vinceremmo mai. Noi siamo assolutamente convinti che solo se le forze progressiste se ne approprieranno e la faranno loro sarà possibile cambiare davvero le cose. Infatti, la valutazione che si fa nella famiglia verde europea della partecipazione ai governi è piena di luci ma anche di ombre. Tutti noi siamo coscienti del fatto che pur se in molti paesi (Italia inclusa) e a livello europeo il nostro ruolo è stato ed é di reale avanguardia, non siamo riusciti di “contaminare” abbastanza i governi cui abbiamo partecipato; il legame con gli attori sociali più innovativi si spesso è allentato, indebolendoci tutti e facilitando una regressione delle forze progressiste, la loro perdita di capacità di proposta credibile e davvero alternativa di fronte alla crisi, anzi alle crisi.

Quindi, ciò che noi proponiamo per l’Italia (ma guardando all’Europa), è di partire con un grande cantiere di riflessione e di mobilitazione senza confini e barriere di partito, per contribuire alla costruzione di un’alternativa che metta l’Europa federale e la “rivoluzione verde” nell’ampio senso che diro’ come elementi chiave di riflessione e proposta; una riflessione davvero libera, che evita di tarparsi le ali con la necessità "preventiva" di dare un colpo al cerchio e uno alla botte senza mai prospettare una scelta netta (bene le rinnovabili, ma forse anche il carbone e il nucleare pulito; bene i trasporti pubblici, ma anche continuare a produrre auto, bene i parchi e il turismo sostenibile, ma bene anche le autostrade e i centri commerciali; bene ridurre i rifiuti, ma ci vogliono gli inceneritori). Perché se sono le basi stesse del nostro vivere economico e sociale che devono cambiare è evidente che non è sufficiente rendere un pochino meno “insostenibile” il nostro modello di sviluppo, dando una pennellata di verde alle politiche correnti.

Quali sono gli assi portanti di questo “green New deal”, di questo grande cantiere che spero si apra presto in modo sistematico e ampio anche in Italia? Dico subito che non si tratta di tematiche nuove; in tutti i partiti progressisti se ne discute e in alcuni lontani paesi si cerca di metterle pure in atto con enormi investimenti pubblici. Energia, mobilità, urbanistica, servizi alle persone, agricoltura e sicurezza alimentare, valorizzazione del patrimonio naturale e culturale, ma anche nuovi modelli di partecipazione e di organizzazione democratica dentro e fuori le istituzioni, nuove cittadinanze, vecchi e nuovi diritti, educazione e digital devide....I settori sono molteplici e appassionanti.....In Italia pero’ nonostante le grandi competenze che pure esistono, se ne parla per lo più sul piano del “sarebbe bello che…” non si é ancora a livello di scelte davvero chiare e strategiche. O almeno questa è la mia percezione.

Insomma va bene la sicurezza alimentare, ma poi bisogna lasciare la Ferrero mettere in etichetta "più latte e meno cacao" anche se non è vero; si a nuove forme di cittadinanza, ma poi si fa l’occhiolino alla Lega; va benissimo parlare di efficienza energetica e riduzione delle emissioni ma poi si è pronti a correre dietro Enel o ENI o Marcegaglia: veri ispiratori gli uni della strategia di sabotaggio dell'Italia dell'azione sul clima a livello UE, portatrice l'altra di una visione che vede ancora l'ecologia e l'industria come nemici irreducibili, nonostante le chiacchiere di sostenibilità: una visione retrograda che non rappresenta nè valorizza quella parte crescente dell'economia italiana, che nonostante tutto vede e scommette sul "green" e sull'innovazione, come ben segnalato da Symbola in «Green Italy» o da recenti studi di Altra Economia o Greenpeace....

Anche la durissima situazione degli stabilimenti FIAT, che non è unica, ma richiama analoghe situazioni in Belio, in Germania, in Francia o in Spagna, dovrebbe e potrebbe essere presa come grande occasione non solo per opporsi alla perdita di diritti acquisiti, ma anche per proporre rapidamente e insieme a sindacati, forze politiche e attori economici europei una via di uscita che si basa sulla semplice verità che il futuro non è nella mobilità individuale e che l'organizzazione di un efficiente sistema di trasporti pubblici può essere un volano straordinario di sviluppo industriale.

Un altro cantiere davvero «europeo» sul quale l’agenda dei progressisti italiani deve agire anche a livello europeo é naturalmente quello della crisi finanziaria. In questo momento la strategia del governo italiano é di pura e semplice demagogia a uso interno. Non conta nulla nella discussione europea. Eppure mai come oggi sarebbe necessario che quello che il fronte «altro-global» ha sempre detto (tassazione sulle transazioni finanziarie, lotta ai paradisi fiscali, alla speculazione e all’evasione, alla carbon-tax europea) venisse integrato positivamente ( e non solo nei comizi) nelle ricette classiche dei «federalisti» europei, dagli eurobonds, alla necessità di aumentare sostanzialmente il bilancio comunitario e di una politica fiscale su scala comunitaria. Anche questa è una battaglia insieme per l’Italia e per l’Europa, indispensabile per fare in modo che l’Italia torni a contare in Europa e perché l’UE possa tornare utile e credibile agli occhi dei suoi cittadini.

Per concludere, vorrei davvero ringraziare Pierluigi Bersani e Piero Fassino per questo invito, che spero di ricambiare al più presto, chiedendo al PD di partecipare alla riflessione dei Verdi Europei sul futuro dell’UE ( e dell’Italia): penso infatti sia indispensabile in questa fase trovare numerose occasioni di «contaminazione» reciproca, perché se é vero che nessuno ha la ricetta perfetta per uscire dalla crisi, solo attraverso un confronto di qualità e una riflessione approfondita potremo trovare se non la perfezione almeno un percorso positivo e vincente.