Il sorriso del Senegal e le molte sfumature del verde


La prima impressione che ho avuto quando sono uscita dall’aereo a Dakar è stata di tante persone sorridenti e un’atmosfera rilassata e facile.

Impressione che non mi ha ancora lasciato al terzo giorno di questo 3° congresso dei Verdi globali. E’ come se fossi arrivata in una specie di “respiro di sollievo” permanente e collettivo. Tutti i senegalesi con i quali abbiamo parlato, i militanti ecologisti e i politici che ci sono venuti a trovare (in Senegal c’è uno dei partiti verdi più attivi in Africa, si parla del suo leader Haidar El Ali come possibile ministro), ma anche i tassisti, i pompieri, i camerieri, i ragazzi che fanno jogging la mattina lungo la Corniche, insomma coloro che si incontrano quando si arriva e si rimane per qualche giorno in un paese per la prima volta, appena dopo un sorridente “bonjour” cominciano subito a dire quanto sono contenti e fieri che le paure di una evoluzione violenta dell’uscita del vecchio Presidente Wade dal potere siano state smentite e quale sollievo questo rappresenti per tutti.

E questo “sollievo” ha permeato il Congresso che abbiamo deciso di tenere comunque in Senegal a pochi giorni dalle elezioni, proprio per dare fiducia a uno dei pochi paesi dove la transizione politica è possibile e dove il candidato che perde se ne va.

L’Africa è vista da molti (incluso da me) come una specie di tutto unito, un po’ confuso, violento e povero. Questo evento è una bellissima occasione per uscire dai problemi dell’Eurozona e di Monti e per davvero vedere noi, i piccoli europei, in mezzo ai colori e alle voci del mondo. Certo, i Verdi non sono un grande partito nella maggior parte del pianeta, ma si tratta comunque di una famiglia politica ormai stabile con un pensiero formato e sorprendentemente uniforme in giro per il mondo. Mi ha riempito di emozione e di un certo orgoglio ascoltare le donne incredibilmente competenti del Madagascar o del Senegal, osservare la determinazione e il rigore tutto anglosassone delle signore e dei ragazzi abbronzati dal sole d’Australia o Nuova Zelanda, l’informalismo solo apparente dei brasiliani e dei sudamericani, l’emozione del delegato dello Zimbabwe, con il suo vestito della festa e il racconto triste sul suo paese, o la cortesia dei giapponesi lanciati in una lotta dura per uscire dal nucleare; ho notato l’unità di noi europei e allo stesso tempo le differenze di approccio e perfino atteggiamento fra noi, dallo sguardo chiaro e fiducioso degli svedesi arrivati in massa a quelli più preoccupati delle leaders dei Verdi di Francia e Germania, di fronte prospettiva di non riuscire davvero, nonostante l’occasione di importantissime elezioni ormai prossime, a cambiare il corso dell’austerità “uber alles” e della “fortresse Europe” di Merkozy anzi di Merkozyonti: per tutti e tutte noi, comunque, rimane un forte senso di responsabilità di rappresentare, nonostante tutto, un modello di organizzazione e di successo politico “verde” per molti. Pesa per me, naturalmente, l’assenza in questo mondo multicolore dei Verdi italiani.

I tre temi di discussione, democrazia, biodiversità e cambiamenti climatici (Rio+20), riconversione verde sono stati al centro di panels e risoluzioni come in tutti i Congressi che si rispettino, ma fra tutti è intorno a che cosa davvero è e come si può mantenere un sistema democratico che si sono svolte le discussioni più accese. Ormai parecchi esponenti verdi vantano esperienze di governo o di partecipazione alle elezioni ed il tema di come rafforzare la democrazia in tempi di crisi e transizione economica e politica ha davvero dimostrato che i problemi sono sempre gli stessi, ma che non c’è una ricetta unica per affrontare la questione. Come assicurare una partecipazione reale alla competizione elettorale se questo o quel ricco emiro finanzia con milioni di euro i gruppi islamisti e noi non siamo in grado di assicurare sostegno ai gruppi di donne e uomini che si battono per una società libera e laica. Come fare perché gli esercizi elettorali non siano solo formalità per portare o mantenere al potere questo o quel gruppo. Qual è lo spazio reale per un “controllo” democratico della società civile quando i media sono controllati da grandi gruppi economici o quando le regole del gioco sono più o meno sottilmente truccate o quando corruzione e criminalità organizzata sono un attore politico importante ? Un elemento interessante del dibattito è stato da una parte l’abbandono da parte di molti rappresentanti di paesi in via di sviluppo di slogan facili e visioni un po’ estreme e dunque superficiali di chi è colpevole di cosa da tempi remoti ad oggi, e dall’altra il cambio di atteggiamento del cosiddetto “primo mondo”: ormai non ci sentiamo più “comodi” nei nostri sistemi “democratici”: non solo in Ungheria o in Italia, ma anche in Francia, in Grecia, nel Regno Unito, negli USA la “democrazia” non è più un dato acquisito ed emerge sempre di più il costante bisogno di trovare nuovi strumenti per mantenerla viva o rafforzarla: un problema davvero “globale” insomma. E di cambio

Altro tema molto discusso è la tesi che un buon governo è indispensabile per avere una politica economica “sostenibile” seria, cosa che non è cosi chiara per tutti. In Cina, in Vietnam, perfino nei nostri paesi c’è chi sostiene apertamente che non c’è bisogno di democrazia per avere sviluppo e prosperità. Invece, noi sappiamo che per una reale riconversione ecologica della società, c’è bisogno certo di impreditori saggi e innovativi, di tecnologie di punta, di una scuola in grado di formare i giovani per un mondo nuovo; ma senza una società civile attenta e informata e una democrazia aperta e trasparente, le lobby e i poteri economici (che non sono mai “verdi”) avranno un peso sproporzionato sulle scelte di governo e le vecchie e nuove élite al potere non vedranno le opportunità offerte dai tempi nuovi. E questa, che ci piaccia o no, è un’altra realtà davvero globale. Quindi non c’è nulla di più “verde” che la battaglia per un sistema di finanziamento della politica che, fuori da ogni demagogia cosi di moda oggi in Italia, assicura una “par condicio” reale e non che si applichi solo ad alcuni, per una governance globale o almeno sovranazionale in grado di imporre al di là delle frontiere dei valori comuni di eguaglianza e democrazia, di trasparenza e equità dei sistemi elettorali.

Interessantissima anche la discussione sul ruolo della religione, o delle lingue ( o piuttosto il rispetto per tutte le lingue) o il ruolo della colonizzazione (e della decolonizzazione) o del dialogo fra generazioni nello sviluppo della democrazia.

Addirittura il ruolo dell’arte, della musica, dell’espressione letteraria nella liberazione ed emancipazione è stata vivacemente discussa, con la partecipazione molto applaudita di Thiat, l’animatore di “Y en a marre” (“Ci siamo stufati”) un movimento importante nella mobilitazione per l’uscita di Wade dal potere.

Domani si torna in Europa, pare che da domani ricomincerà a piovere. Ma spero che il sole e i sorrisi del Senegal mi riscalderanno ancora, almeno per un po’.