Il mio intervento introduttivo all'iniziativa di GREEN ITALIA
Non esistono grandi imprese senza grandi ambizioni.
L’ambizione oggi è di far esistere anche in Italia un soggetto che fa dell’ecologia politica, di un “Green New deal” il centro della sua azione. Non perché si cerca una sistemazione o un nuovo contenitore. Ma perché riteniamo che senza una trasformazione in «verde» dell’attività economica e dell’organizzazione sociale non si esca dalla crisi, non si cambi l’Italia, non si partecipi alla costruzione di un sogno europeo oggi in panne.E anche perché molti di noi – forse appunto per mancanza di ambizione- hanno potuto sperimentare varie strategie e azioni di contaminazione e alleanza di altre forze politiche, che però non hanno funzionato.
Vi abbiamo chiesto di partecipare a questa giornata per iniziare un percorso; e in questo senso sarebbe utile se, oltre a sapere le vostre prime opinioni sugli appunti per il programma che avete ricevuto, potessimo iniziare a rispondere a tre questioni che vorremmo poteste affrontare nei vostri interventi.
C’è bisogno di un’iniziativa “green” organizzata in Italia? Esiste uno spazio politico?
A quali bisogni e speranze dovremo rispondere e quali temi prioritari dovrebbero trovare espressione e “organizzazione” in questa iniziativa?
Quali tappe vedete – se condividete questa proposta- nei prossimi 12 mesi, in particolare nel quadro delle elezioni europee del 2014?
La prima considerazione è che ci ha portato qui è la convinzione che, nonostante il pessimismo, uscire dalla crisi e portare un sano cambiamento in Italia sia possibile; ma proposte e tematiche che sarebbe utile portare avanti sono volutamente escluse e messe fuori dal dibattito politico e dall’azione di governo. E se non proveremo a rimettercele noi, non lo farà purtroppo nessuno.
Dobbiamo essere chiari: l’approccio culturali i temi e in alcuni casi le proposte non sono particolarmente nuove in sé. Anzi forse noi paghiamo il fatto che le “ricette ambientaliste” sono state poco capite, pochissimo applicate, ma sono state molto presenti per un periodo nel dibattito e hanno portato anche a risultati importanti. Poi sembrano essersi appassite e hanno perso la loro carica di novità e molti semplicemente non ci credono.
Sono sicura che tutti voi avrete vissuto almeno una volta qualche conversazione nella quale di fronte all’argomento della necessità di un cambio radicale di paradigma in economia, o di “usare” l’esistenza di cambiamenti climatici per farne un’opportunità di nuovo sviluppo, il vostro interlocutore benpensante main-stream magari progressista, alza gli occhi annoiato e distratto. A me è capitato anche ieri!
Noi pensiamo che questa superficiale indifferenza stia avendo un impatto fortissimo nella capacità dell’Italia di trovare prospettive positive; e quindi ci dobbiamo muovere.
Io non condivido l’idea che la forza dei fatti – cambiamenti climatici, scarsità delle risorse...- si imporrà da sola; è evidente che l’alternativa non cadrà dal cielo e suppone una dura lotta politica, dall’esito incerto perfino in paesi dove gli ecolo sono forti e molto ben impiantati.
Ecco allora la risposta alla prima domanda. C’è bisogno di un’iniziativa “green” in Italia perché oggi siamo divisi e non pesiamo. C’è bisogno di essere uniti e coesi per scardinare questa molle inerzia di chi ci accusa di “dire sempre no” solo per continuare a fare le cose sbagliate, nonostante l’evidenza stessa della profondità della crisi ci dica che ci vuole un netto cambio di rotta.
C’è bisogno di un’iniziativa “green” per contribuire a rendere ancora più chiaro che alla crisi non si risponde con infrastrutture pesanti, centrali a carbone e le trivellazioni di petrolio, autostrade esentasse: ma, per esempio, puntando su un vero e proprio piano “Marshall” per l’efficienza energetica e le rinnovabili, co-finanziato magari con i miliardi di fondi europei mal-spesi - di cui la corte dei Conti EU si indigna in un recentissimo rapporto sulla qualità della spesa EU che consiglio di leggere a tutti; in quel rapporto analizza come ingentissime risorse che si sarebbero potute usare per rendere efficienti case e strade siano rimaste a Bruxelles o sprecate; si risponde alla crisi ritenendo assai “riformista” abbandonare gli F35 e magari usare quei denari per risanare e rilanciare il nostro patrimonio culturale e turistico. O organizzando la strategia anti-crisi risanando il nostro territorio, arrestandone il saccheggio, scegliendo una volta per tutte altre forme di finanziamento dei comuni che gli oneri di urbanizzazione. O facendo una battaglia per una politica agricola fatta di innovazione e ricerca, qualità, rispetto del paesaggio e non basata sul conformismo senza idee portato avanti dall’Italia in sede europea e che ha portato ad una riforma della PAC senza più visione europea e nella quale le diverse lobby di categoria hanno imperversato.
L’ “alternativa” insomma sono donne e gli uomini che hanno capito che più che difendere l’esistente, per “produrre lavoro” sia necessario promuovere altre “attività economiche”, magari valorizzando i vincoli climatici e la scarsità delle risorse; che “osano” pensare che forse l’auto non è un’industria del futuro e che uscire progressivamente -ed insieme ai lavoratori e alla loro esperienza - dalla vecchia industria pesante ed energivora, profondamente maschile e verticale nella sua struttura e organizzazione - sia una sfida attraente e non una sconfitta, e che sanno che il Green New deal sarà europeo o non sarà. Insomma, noi vorremmo portare una proposta profondamente “rivoluzionaria” e insieme perfettamente realista, eccitante e ottimista anche nel dibattito politico italiano; la vorremmo portare in modo coerente e possibilmente organizzato. Ma c’è bisogno di un’iniziativa “green” anche perché ridefinire l’economia non è possibile senza cambiare il quadro politico e senza cambiarne i rapporti di forza esistenti. Per noi la “democrazia reale” è una questione ben più vasta della “lubrificazione” di alcuni meccanismi elettivi e istituzionali in Italia e in Europa: è indispensabile che il cittadino riprenda la politica per avere la possibilità di “domare” l’economia e per ridare il senso della legittimità e dell’appartenenza a un progetto comune.
Ecco perché vogliamo tentare di portare questa “rivoluzione” nel dibattito pubblico in modo costruttivo, pacifico, ma anche rumoroso e allegramente invadente. Parlando con tutti, dal mondo politico a quello economico e industriale ai lavoratori, agli studenti, agli attivisti, alle persone che vivono curando gli altri, ai giovani, ai meno giovani, a chi ha fatto politica in passato e a chi la fa oggi. Noi non abbiamo problemi di steccati o barriere, perché non siamo puri e duri e pensiamo che la sfida sia convincere, non schiacciare o demolire con arroganza. E perché non pensiamo di avere la verità in tasca. A costo di peccare di ingenuità il Green New deal vuole anche essere un concetto gentile, aperto, sorridente. Anche se sappiamo benissimo, e molti di noi ne sono stati vittima, che i poteri economici e mediatici deviano l’attenzione dell’opinione pubblica e spesso contano più di leggi e regole elettorali.
Per quanto riguarda poi i temi prioritari, ne parleranno molti di voi, io volevo portare avanti rapidamente tre punti; Il Green New Deal è un progetto “industriale” – nel senso che propone un progetto di riorganizzazione dell’attività economica e del lavoro ambizioso per una società post-industriale. Tanto per fare un esempio, noi siamo profondamente attaccati alla tradizione manifatturiera dell’Italia e non crediamo alla “de-industrializzazione “ come valore in sé. Però non ci piace conservare l’esistente. La nostra proposta di politica economica punta a superare definitivamente alcuni “colli di bottiglia” ideologici e culturali, mantenuti tali da potenti interessi economici; è in questo senso che per me il nostro progetto si lega direttamente non solo alle ambizioni e interessi di chi già oggi fa economia verde in tutti i settori e può contare sulle sue forze ma non su un quadro coerente di sostegno e di regole chiare. Ma anche con quelle vertenze territoriali e quei gruppi che a partire da situazioni di degrado ambientale, di conflitto e a volte da esperienze di sopraffazione e mancanza di dialogo democratico hanno visto che il futuro è in un modello di sviluppo e anche di interazione e partecipazione democratica pacifica si, ma in grado di chiedere conto e influire su decisioni che riguardano il territorio. E con chi, e ce ne sono, da settori tradizionalmente energivori e inquinanti come l’acciaio e la chimica, capisce che non è con il permesso di inquinare che si costruisce la competitività.
Ma, e questo è il secondo punto, la trasformazione in “verde” ha l’ambizione di rispondere non solo alla crescente ineguaglianza sociale; ma anche a quella “ambientale”, la qualità dell’abitare, del muoversi, del mangiare; dell’educazione, del lavorare e del tempo libero. Insomma qualità di vita migliore per tutti. Una società “ecologica” è anche democratica e trasparente. Dove l’organizzazione del lavoro e la sua remunerazione segue linee molto diverse da quelle che oggi dominano il dibattito pubblico. E che noi dobbiamo riuscire a dettagliare e a fare entrare senza inutili polemiche con il mondo sindacale o quello imprenditoriale, ma tenendo salda la barra di una profonda trasformazione necessaria.
Infine, l’Europa. Noi dobbiamo metterci bene in testa che l’anno prossimo non ci giochiamo solo la solita partita che viene spesso usata per capire i rapporti di forza interno fra questo e quel partito. O la competizione fra candidati sulla falsa idea che il sistema delle preferenze elegga di per sé chi è più adatto a stare al PE. Ci giochiamo proprio il futuro dell’UE. La possibilità che la disaffezione della gente e la propaganda populista e non solo, che attribuisce all’UE tutte le colpe senza capire che quelle politiche sbagliate sono il frutto di maggioranze politiche che solo il voto potrà modificare e non sono l’espressione di un’immutabile struttura burocratica noi ci troveremo di fronte un parlamento europeo a maggioranza euroscettica e ingovernabile e una Commissione ancora una volta inutile e dannosa. Quindi GreenItalia si deve impegnare su almeno due fronti: uno è la battaglia per esplicitare l’altra Europa possibile e necessaria, che non potrà che essere Green. E l’altro è quello della modifica dell’iniqua legge elettorale che impone il 4% di sbarramento e dunque rende ancora più difficile la partecipazione e l’interesse degli elettori; su entrambi questi temi sono possibili e auspicabili alleanze e collaborazioni con altri che spero saremo in grado di portare avanti.
Infine, sul terzo punto, quello dell’organizzazione, preferisco ascoltare la discussione e lasciare a Francesco, che concluderà, dare qualche indicazione.
Grazie per l’attenzione e auguro a tutti una magnifica giornata.