Grecia, gli scongiuri aspettando l’Eurogruppo


Non ho mai creduto all’ottimismo sparso a piene mani nei giorni scorsi sull’accordo con la Grecia. Come mi hanno sempre lasciato perplessa le affermazioni secondo le quali l’Europa si è sempre fatta nei momenti di crisi. Balle. Se si è fatta, si è fatta male e con accordi al ribasso, da Maastricht in giù. Oggi siamo messi male. Non solo perché l’ideologia dominante e anche il calcolo politico dei conservatori al potere non possono permettere a Tsipras di portare a casa un risultato anche minimo. Non solo perché la Lagarde si deve fare rieleggere e non può essere vista favorire troppo – facendo eccezioni alle sue folli regole – un paese europeo rispetto a tutti quelli più poveri con cui tratta. Non solo perché Angela Merkel non è la grande leader che tutti descrivono: se lo fosse non saremmo al punto in cui siamo.150213-grexit Ma perché ormai la disgregazione della solidarietà europea e in atto e i dossier sull’immigrazione e la Brexit stanno lì a gridarcelo da un po’. Io sono affranta anche e soprattutto per l’assoluta mancanza di visione dell’interesse comune e per l’incapacità di molti dei cosiddetti leader di guardare al di là del proprio naso. Condivido la pena, la commozione e la rabbia dei miei concittadini greci e penso che non dovremmo stupirci se fra un po’ cominceranno di nuovo a rombare tamburi di guerra, magari non calda , ma sicuramente tiepida e pericolosa tra i popoli europei. Sono delusa dalla nostra incapacità di europeisti, federalisti di mobilitare l’opinione pubblica di fronte ai rischi di questo gioco al massacro. Naturalmente, spero di sbagliarmi. E naturalmente, spero che dopo mesi di tensioni e accuse reciproche dopo un’altra notte di discussioni inutili, ci sia davvero la speranza di una soluzione non transitoria, non umiliante, non inefficace tra la Grecia e gli altri Stati membri dell’area euro. Solo che il documento formulato dai creditori in risposta alle proposte di Tsipras e in preparazione dell’Eurogruppo, pieno di segni rossi, non lascia presagire molto di buono. Va detto però che almeno alcune delle contro-proposte, come il raddoppio dei tagli alle spese militari da 200 a 400 milioni di euro, l’accettazione di non intervenire sull’Iva per l’elettricità e l’idea di istituire un tasso di Iva super ridotto per i medicinali, sono sicuramente benvenute (pur se alcuni organi di stampa negano che si sia esclusa l’Iva sui medicinali). Sul resto, e in particolare sulle pensioni, pare essere tornati a qualche settimana fa. Si prevede perfino la cancellazione un anno prima di quanto previsto dal governo (2018) del contributo temporaneo per le pensioni più basse. Poi si chiede di cancellare i contributi alle pensioni da parte degli imprenditori e le maggiori imposte sui redditi d’impresa oltre i 500.000 euro. Insomma non si accetta l’idea di aumentare le imposte ai redditi più alti, anche per non soffocare – dicono – l’asfittico sistema produttivo greco, e si chiede di diminuire ancora la spesa pubblica. Cosa più complicata di tutte, non si vede all’orizzonte alcuna apertura sulla richiesta principale di Tsipras, la ristrutturazione del debito e il collegamento fra la crescita economica e i rimborsi. Su questo non è il Fmi ma sono i Partners europei che bloccano. Merkel dice che prima vuole vedere capitolare completamente Tsipras anche se questo dovesse comportare la perdita di gran parte dei soldi prestati, nel caso in cui la Grecia uscisse dall’euro. Soldi che, peraltro, sono andati per il 90% ai creditori è solo in minima parte hanno aiutato i greci. Tsipras si è fatto sentire, accusando una parte dei creditori, di lavorare contro l’accordo, perché si respingono sistematicamente le proposte alternative al taglio della spesa pubblica, contrariamente a quanto fatto nel caso di Irlanda e Portogallo. Perfino Renzi lo ha detto in aula ieri. Peccato però che ancora non si capisce da che parte sta davvero l’Italia, che ha freddamente deciso qualche mese fa di non giocare alcun ruolo. A poche ore dall’inizio di un altro Eurogruppo, quindi, non sappiamo se entrerà un po’ di buon senso e politica, quella vera e magari anche un po’ di compassione reciproca o si rimarrà nel testosterone puro. In questo momento tendo per la seconda ipotesi. Eppure, la via dell’accordo non sarebbe impossibile. In cambio di una prospettiva di ristrutturazione del debito (lo swap proposto da Varoufakis) e di un piano di investimenti finalizzato a supportare l’economia greca verso una ripresa sostenibile e aiutarla sopportare le ripercussioni negative delle misure di risanamento del bilancio per il 2015 e 2016 concordato con i creditori, il governo greco deve dimostrare di fare sul serio sulle proposte di vero e proprio ribaltamento di un sistema amministrativo che si presenta improduttivo e corrotto. Ma in questo momento non è il senso comune che pare trionfare. --- Post pubblicato sul mio blog per Il Fatto Quotidiano il 25 giugno 2015