Gentile Professore


Gentile Professore,

Nel suo ultimo editoriale si trovano a mio avviso molte affermazioni non condivisibili, tipiche di chi, purtroppo, confonde la sua stessa mancanza di pratica europea con la verità o, per essere più precisi, la realtà.

Mi permetta di dire che la Sua visione del funzionamento delle istituzioni europee è parziale e soprattutto denota pregiudizio e scarsa conoscenza diretta. E questa superficialità mi sorprende e mi dispiace molto, visto che il Suo libro "Modelli di partito" è il testo universitario che ho letto con maggiore piacere e, memore di tutte le cose utili che ho appreso, ancora mi precipito al leggere ogni Suo editoriale anche se ormai con sempre minore sintonia. In questi mesi la mania Grillina di buttare il bambino con l'acqua sporca fa furore. E colpisce anche autorevoli commentatori, come dimostrano le affermazioni sprezzanti sul PE.

Lei insiste nel suo giudizio di “fallimento” e nella sicura affermazione secondo la quale i cittadini si sentono più vicini alle loro istituzioni nazionali, che sarebbero perciò più legittime e più democratiche.

Mi lasci dire innanzitutto che non ho proprio sempre percepito una tale decisa preferenza, lavorando con ambientalisti, attivisti dei diritti civili e umani, protettori della libertà di stampa o dei diritti dei migranti, dei rom ma anche con imprenditori e operatori economici innovativi in vari paesi europei (prima fra tutti l’Italia), che hanno spesso visto nell’UE, e in particolare nel PE, un ben più attento interlocutore e legislatore rispetto ai loro rappresentanti nazionali.

In secondo luogo, è sicuramente vero che molti europei, a causa dell'insistenza dei media e delle forze politiche nazionali a non fare una campagna europea nel momento delle elezioni, non sanno bene quali sono i reali poteri del parlamento che vanno a eleggere. Avendone fatte ormai varie e in vari paesi, so che in Italia questa situazione è aggravata dal persistente provincialismo di stampa e personale politico, i quali raramente conoscono altra lingua che l'italiano (senza grandi distinzioni di generazioni ahimè) e in genere non valorizzano per nulla coloro che di Europa sanno e si occupano.

Ma questa mancanza di interesse non vuole certo dire che non si fa politica in Europa o che il PE ha "fallito".

Se è vero che la partecipazione alle elezioni europee è ancora insufficiente, questa decresce anche a livello nazionale e locale, ma stranamente nessuno si sogna di mettere in dubbio la legittimità delle istituzioni che questi voti esprimono.

Nell’UE si prendono decisioni importanti. Il PE co-legifera nella stragrande maggioranza dei casi, anche se ancora rimangono fuori temi rilevanti come la politica estera. Come in ogni parlamento ci si divide spesso fra centro destra e centro-sinistra. Oppure lungo linee nord-sud. E a volte, è vero, anche sulla base di supposti interessi nazionali. Ma é un parlamento eletto esattamente come i parlamenti nazionali; e poiché pochi sono i personaggi universalmente noti e le maggioranze non sono prestabilite, si deve lottare per ogni testo ed emendamento; quindi o ci si sta e si lavora o non si conta un bel niente. Non capisco davvero dove starebbe il suo fallimento. Nel fatto che non se ne parla troppo sui media perché si preferisce correre dietro e dare spazio alle dichiarazioni di questo o quel leader nostrano piuttosto che ai voti a Bruxelles e Strasburgo?

Peraltro, contrariamente ai governi dei molti vertici inconcludenti, il PE è capace di decidere appunto perché organizzato su basi sovranazionali e perché funziona sul semplice sistema del voto a maggioranza; non ha problemi di veto, contrariamente al Consiglio dei Ministri, spesso bloccato da questo o quel paese e non strutturalmente pensato per rappresentare l'interesse comune. Basta guardare con occhi obiettivi il funzionamento dell’UE per rendersi conto che le politiche più innovative e le azioni più "Europee" derivano dall’iniziativa delle istituzioni integrate, Parlamento e Commissione. Anzi, è proprio il fatto che la "comunitarizzazione" delle decisioni UE è ancora incompleta che sta alla radice dei nostri guai, come ben dice perfino il FT.

Giusto per fare qualche esempio in “disordine” di tempo e di importanza, se ci fosse stato un reale equilibrio di poteri in tutti i settori di azione della UE, nonostante una persistente anche se fluttuante maggioranza di centrodestra, avremmo da tempo regole più stringenti per il settore finanziario e le banche; nessun paese EU sarebbe andato in Irak; il patto di stabilita violato da Francia e Germania nel 2003 con la complicità di Tremonti avrebbe avuto una parte "crescita e sviluppo" accanto ai numeri rigidi dei parametri contabili; e nella UE ci sarebbe dall'inizio degli anni '90 una direttiva sulla concentrazione dei media e sul pluralismo che proprio Monti presentò; in Ungheria Orban avrebbe vita meno semplice nello smantellamento delle istituzioni democratiche; e, last but not least, Schengen, oggi sotto un duro attacco dei governi, se sopravvivrà sarà grazie alla Commissione e al PE certo non grazie al Consiglio. Potrei continuare ma mi fermo. Si badi bene, io non sono assolutamente fra i sostenitori acritici della UE. Penso semplicemente che non sia vera l’affermazione secondo la quale si può essere solo pro-Europei qualsiasi cosa l’UE faccia o euroscettici: appunto perché questa divisione non riflette la realtà di un sistema europeo che, esattamente come tutti i sistemi politici può fare bene o male a seconda delle opinioni e delle maggioranze. E questo già succede, anche se ci sarebbe bisogno di un nuovo round di riforme per rafforzare, rendere più democratico ed equilibrato un sistema che è ancora troppo intergovernativo, troppo “povero” in termini di risorse per poter cambiare davvero le ineguaglianze strutturali al suo interno.

Di certo, la proposta di rinazionalizzare il Parlamento europeo sarebbe una riforma inutile e dannosa. Con buona pace del mio autorevole compagno di famiglia politica Joschka Fischer (che su questo punto è in minoranza fra noi), per rafforzare la democrazia in Europa è necessario andare in direzione opposta rispetto a quella che dice lui: la democrazia non è una questione di vicinanza geografica, ma di capacità di agire utilmente e concretamente nell’interesse dei cittadini-elettori: a problemi europei devono corrispondere strumenti e istituzioni europei. Anzi, solo slegando la rappresentanza europea non dai suoi cittadini, ma dalla rappresentanza statale (anche attraverso liste elettorali “europee”) sarà possibile rendere ancora più chiara la dimensione sovranazionale dei problemi che oggi dobbiamo governare e sui quali i cittadini devono poter decidere: decidere e scegliere, superando il limite di campagne elettorali per il PE che sono spesso una prova di forza tra questo e quel partito nazionale.

Vorrei concludere con una nota personale. Io sono stata deputata europea eletta in due paesi diversi, l’Italia e il Belgio e oggi presiedo un partito europeo. Non mi sono mai sentita “lontana” dai cittadini. Mai è venuta meno la mia coscienza di lavorare per valori e idee di dimensione “europea” ma anche localissima, quando mi attivo per i diritti dei rom ungheresi, contro la TAV in Valsusa, per trasporti sostenibili e energie rinnovabili , per la difesa dei diritti dei lavoratori in Spagna o contro le frodi in Bulgaria, per l’agricultura biologica, o quando propongo insieme a tanti altri la riapertura di alcune parti del memorandum greco o il superamento del Fiscal compact. La dimensione nazionale è solo una delle dimensioni possibili della democrazia.

Dimenticarlo significa fare torto a tutti coloro che, appunto superandone gli stretti confini, ne hanno fatto un valore e un ideale universale.