BATTERE IL CARO BOLLETTA? PIU RINNOVABILI, RISPARMIO ENERGETICO E RISTRUTTURAZIONE DEGLI EDIFICI



La tragedia di Ravanusa (una esplosione che ha provocato 9 morti in una palazzina) e il suo terribile bilancio di vittime e distruzione ci ricorda, nel peggiore dei modi, che una parte importante delle costruzioni e le case in Italia poggiano su fragili fondamenta e sono inefficienti, quando non pericolose, e non solo dal punto di vista energetico.

Il tema della sicurezza e della necessità di assicurare un’adeguata manutenzione e ristrutturazione del nostro patrimonio abitativo e degli edifici in genere anche per ridurre l’inquinamento e per assicurarne una adeguata qualità, entra nella discussione solo dopo terribili tragedie e per pochissimo tempo; eppure, si tratta di una sfida sociale enorme e da affrontare urgentemente, una sfida che è anche economica, industriale, tecnologica, perfino artistica e culturale: il 40% del nostro territorio e il 35% dei comuni italiani è in zona sismica, 7 milioni di italiani vivono in zone poco sicure dal punto di vista idrogeologico, 2,3 milioni di famiglie non possono permettersi di scaldarsi decentemente d’inverno o raffrescarsi d’estata, ben 4,5 milioni di abitazioni sono in classe G, la peggiore, e 3,2 in classe F (dati ENEA). La situazione nel resto d’Europa non è molto diversa, se è vero che circa il 75% del patrimonio abitativo europeo è insufficientemente isolato e 50 milioni di famiglie sono definite come povere dal punto di vista energetico. Non è un caso allora che gli edifici siano all’origine di ben il 40% delle emissioni climalteranti e una causa importante dell’inquinamento che porta ogni anno alla morte prematura di circa 400.000 persone(dati EEA).

E allora rendere il patrimonio abitativo italiano più vivibile, più sicuro, meno inquinato e inquinante, le nostre città più belle e più verdi nei prossimi anni e anche approfittando dell’abbondanza di risorse pubbliche e private esistenti e della spinta del Green deal, dovrebbe essere una priorità assoluta per la spesa pubblica e gli investimenti privati e anche davvero entusiasmante nel dibattito in corso sulla transizione ecologica: dibattito distratto invece da temi assolutamente marginali per la vita quotidiana delle persone, come un eventuale miracolo nucleare fra 30 anni o tecnologie costosissime e lontane come la cattura del carbonio o la favola del gas come combustibile semi-verde.

Purtroppo, prevale una visione di retroguardia e al limite del disfattismo, che insiste sui costi senza proporre alcuna alternativa;  ai settori sociali più svantaggiati non viene offerto altro che uno scomodo status quo, come dimostra la polemica sulla transizione come “bagno di sangue” o, più recentemente la levata di scudi contro la Commissione europea, rea di avere proposto, in una bozza interna vecchia di cinque settimane della direttiva sulla performance energetica degli edifici (EPBD),  “un divieto” di vendita degli edifici di peggiore qualità fra 10/15 anni. Il Vicepresidente della Commissione Timmermans ha presentato ieri la versione definitiva della direttiva e nel suo italiano perfetto ha ben spiegato che “nessun funzionario europeo vi impedirà di vendere la casa o ve la confischerà”, saranno gli Stati membri a dovere decidere come rispettare gli standard minimi di performance energetica; ma che se vogliamo gestire inquinamento e cambiamenti climatici bisognerà agire in fretta per ristrutturare le nostre case; ci costerà “uno sforzo, ma ne varrà la pena” ha detto. E in effetti, a ben guardare, ne vale già la pena, anche in Italia.

Oggi è possibile dimostrare, numeri alla mano, che dare priorità alle ristrutturazioni conviene allo Stato e agli investitori, anche perché in Italia non siamo all’anno zero: in un rapporto uscito la scorsa settimana per la Camera dei deputati sull’impatto delle misure di incentivazione del recupero e incentivazione del patrimonio edilizio, si dice, tra l’altro, che la stima degli investimenti attivati dal 2011 ad oggi hanno generato una media annua di occupati diretti e nell’indotto di 421.770 unità di fronte a una perdita di 600.000 unità dal 2008; che c’è stata una crescita rilevante dell’emersione del nero, l’inizio di una positiva integrazione fra edilizia, infrastrutture e servizi che, se completata ridisegnerà le nostre città, oltre a un risparmio energetico complessivo di 0,20 milioni di tonnellate di petrolio equivalente. Inoltre, in un recente studio di CRESME per Symbola, si spiega come le case ristrutturate immesse sul mercato abbiano un valore medio del 29% maggiore rispetto a quelle non ristrutturate; Cambridge Economics dimostra come raddoppiare il tasso annuale di ristrutturazioni (in Italia oggi meno dell’1%) comporterebbe un risparmio medio annuale di 400 euro a famiglia. Infine, il contributo alla ripresa post-Covid del “superbonus edilizio”, nonostante i suoi difetti, a partire dall’assurdo sussidio possibile per le caldaie a gas, ha rappresentato nel 2021 ben lo 0,7% del PIL, con la creazione di 153.000 posti di lavoro e più di 6000 imprese; e, esperienza molto importante riportata da House Verde di Innovatec, di fronte al 73% delle unità immobiliari interessate che partivano da classi di efficienza energetica  E o F, l’85% dei casi la classe energetica di arrivo era superiore o pari alla classe A, segno che il meccanismo funziona. E questa misura è indicata a livello internazionale come un esempio da seguire.

Ovviamente non ci siamo ancora; solo per rispettare i nostri attuali obiettivi di riduzione delle emissioni dovremmo triplicare il tasso di ristrutturazioni degli edifici ogni anno (e moltiplicare per 6 la potenza istallata di rinnovabili), perché si è perso un sacco di tempo in anni passati: è esattamente per questo che ci vogliono regole chiare a livello europeo, una loro applicazione efficace a livello nazionale e adeguate risorse. Il punto, perciò, non è disperarsi perché non si potranno più vendere edifici di classe G o perderanno il loro valore, ma fare in modo che non ce ne siano più da comprare. La proposta della Commissione, che ora andrà esaminata e approvata da Parlamento e Consiglio dei Ministri nei prossimi mesi, introduce standard minimi di rendimento energetico a livello europeo per il 15% degli edifici identificati da ogni Stato membro come quelli con il peggior rendimento nel loro parco immobiliare; gli edifici pubblici e non residenziali dovranno essere ristrutturati e portati almeno al livello di prestazione energetica F entro il 2027 e almeno al livello E entro il 2030. Gli edifici residenziali dovranno essere ristrutturati da G ad almeno F entro il 2030, e ad almeno E entro il 2033. Per quanto riguarda gli indici di rendimento energetico più elevati, la Commissione lascia molta (troppa?) flessibilità agli Stati membri, che dovrebbero stabilire dei calendari specifici per raggiungere questi indici attraverso nuovi piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, in linea con l'obiettivo di raggiungere un patrimonio edilizio a zero emissioni entro il 2050.

A un primo rapido esame, che dovrà essere approfondito perché si tratta di una normativa complessa, la direttiva proposta oggi dalla UE non è particolarmente ambiziosa, nel senso che gli standard che propone non sono adeguati alla sfida, la portata dell’obbligo di applicare standard minimi di performance energetica è limitata alle classi più energivore, lo spazio dato agli stati membri per applicarli è eccessivo e non prevede un meccanismo sanzionatorio o incentivante preciso. Ma insieme alle altre direttive presentate nel pacchetto “Fit for 55%”, alle regole esistenti sui piani nazionali di lungo termine per la ristrutturazione e ad altri strumenti anche finanziari, ha il merito di porre il tema degli edifici al centro del Green Deal. Le nostre case sono davvero un patrimonio inestimabile per tutt@ noi.

Renderle più sostenibili ed efficienti è l’unica strada per aumentarne il valore e la qualità; e per dare un contributo indispensabile alla creazione di nuova occupazione e alla lotta ai cambiamenti climatici.

Monica Frassoni, Bruxelles 15 dicembre 2021

pubblicato: https://www.huffingtonpost.it/entry/la-tragedia-di-ravanusa-ricorda-la-fragilita-del-nostro-patrimonio-abitativo_it_61bb0059e4b0a37224739ff2