A un anno da Fukushima l’energia verde non vince ancora


E’ passato un anno dal disastroso terremoto e tsunami che hanno colpito il Giappone, e le gravissime conseguenze si fanno ancora pesantemente sentire; nonostante questo, una certa ”sordina” è stata messa sul dibattito globale sul nucleare dopo qualche mese di estrema visibilità, e le lobby nucleariste sperano di tornare al più presto alla situazione pre-11 marzo 2011.

Eppure, il triste bilancio di Fukushima è sempre d’attualità. E’ la natura stessa degli incidenti nucleari: lasciano un'eredità radioattiva duratura e comunque i rischi sono davvero impossibili da prevedere. A Fukushima, ad un anno dal disastro, la situazione non è sotto controllo. Come indica il recente aumento della temperatura nel reattore 2, l’impianto di Fukushima rimane instabile ed altamente vulnerabile ad un nuovo evento come un terremoto anche di intensità minore. Nel frattempo è stato valutato che la “pulizia” della zona richiederà decine di anni e centinaia di addetti. Oltre ai reattori stessi e alla zona di esclusione di 20 km, la zona circostante nella provincia di Fukushima resterà contaminata per intere generazioni. Un esempio concreto: la quantità di Cesio-radioattivo 137 (che ha un periodo radioattivo di circa 30 anni) liberato durante il disastro di Fukushima è 168 volte superiore a quello sprigionato dalla bomba di Hiroshima. È stato valutato che le morti dovute all’ esposizione radioattiva nella regione potrebbero essere migliaia. Fukushima, come Chernobyl 25 anni prima, ha dimostrato che - pur rimanendo relativamente bassa l’eventualità di un incidente nucleare grave – il suo impatto potenziale è enorme. L'uso dell'energia nucleare, come pure la proliferazione relativa delle tecnologie nucleari, ha avuto e può ancora avere conseguenze disastrose. Per eliminare questo rischio l’unica vera garanzia è l’uscita progressiva dal nucleare.

Questa è un’opzione possibile ed urgente. Alcuni paesi sembrano avere imparato questa lezione. In Germania, dopo gli eventi di Fukushima, il governo ha deciso di confermare l’uscita dal nucleare, decisione già presa durante il governo rosso-verde. Molti scenari futuri pronosticano per la Germania un ricorso del 100% a fonti rinnovabili entro il 2030. Anche il Belgio ha confermato la sua uscita dal nucleare e in Francia la vittoria possibile di Hollande potrà aprire scenari interessanti. Ma il futuro non è tutto “verde”. Dopo Fukushima, l’UE ha intrapreso una serie di stress-test sui reattori nucleari esistenti. Tuttavia questi tests sono apparsi fin da subito come dei pretesti per incoraggiare l'opinione pubblica ad accettare che lo sviluppo del nucleare  continui indisturbato: infatti, non solo non sono davvero completi, perché ignorano fattori cruciali come incendi, errori umani, la degradazione di componenti essenziali dell'infrastruttura o un incidente aereo, ma sono usati per tranquillizzare l’opinione pubblica o per giustificare ulteriori future spese e investimenti per metterli in “sicurezza” o per costruirne di nuovi più e più efficaci. In Italia, non si parla più di rinascita nucleare dopo il referendum, ma non è stato ancora definito un piano energetico nazionale che scelga chiaramente energie rinnovabili ed efficienza energetica come assi portanti. E il rischio del ricorso ad energie fossili come il carbone o un ulteriore aumento della parte del gas nel nostro mix esiste, non solo da noi ma anche e soprattutto in Germania, cosa che comporterebbe ulteriori inutili investimenti in grandi infrastrutture invece che in rinnovabili ed efficienza energetica. Le prime avvisaglie di questo si sono viste di recente con le dichiarazioni del Ministro Passera sul “costo” delle rinnovabili.

Insomma, l’iniziativa per un cambio radicale del modello energetico in Italia e in Europa deve riprendere: le lobby “fossili” sono ancora in agguato e non basterà Fukushima ( o un referendum) a fermarle.