Dopo settimane di tira e molla e una battaglia davvero inusuale su questi temi, il Parlamento europeo ha approvato ieri per soli 36 voti la sua posizione sulla legge sul ripristino della natura. È stata una vittoria anche se di misura. Ora la parola passa ai negoziatori di parlamento e Consiglio per accordarsi sul testo finale. Ma la tensione intorno a questa legge dimostra che la battaglia intorno al Green deal, il grande piano europeo per trasformare positivamente il nostro modo di vivere, consumare, produrre e allo stesso tempo affrontare i cambiamenti climatici riducendo le emissioni che lo sconvolgono e investendo su energie rinnovabili, riduzione dei consumi e rispetto della natura, sta entrando in terre pericolose. Siamo di fronte a una battaglia fra chi pensa, in particolare agroindustria e settori fossili, che sia meglio l’uovo oggi e che comunque vada ci sarà per loro anche la gallina domani e chi invece è convinto che il modo migliore per garantire e migliorare la nostra qualità di vita, la sicurezza alimentare e il lavoro sia quella di prendere atto che bisogna cambiare e attrezzarsi al meglio per questo cambio aiutando chi è in difficoltà.
Quello che è successo intorno alla direttiva sulle emissioni industriali e soprattutto la legge per il ripristino della natura lo dimostra chiaramente; e dimostra chiaramente anche la necessità di riprendere in mano l’iniziativa ecologista, ma non solo contando sugli ecologisti. Non è un caso che a sostegno della legge si siano schierati innumerevoli scienziati e attivisti, ma anche importanti industrie ed esponenti dell’economia green, settore molto importante anche se costantemente sottovalutato dai media e dal pubblico.
Ma partiamo da numeri e fatti che sono i grandi dimenticati in una discussione che è stata trasformata in una battaglia ideologica. La legge europea sul ripristino della natura ha l’obiettivo di rispondere al dato incontrovertibile di un grave degrado dell’80% dei nostri ecosistemi. E se questo degrado continuerà non ci sarà più terra fertile da coltivare o cibo da produrre. Per questo mira a fissare un obiettivo per il ripristino delle aree terrestri e marine nell'Unione europea entro il 2030 ed entro il 2050. L'agricoltura dell'UE dipende da suoli ed ecosistemi sani, oltre che da acqua e aria pulite, per la produzione di cibo. Contrariamente alle false affermazioni diffuse in queste settimane, le vere minacce alla sicurezza alimentare sono il cambiamento climatico e il collasso della biodiversità. Il cambiamento climatico (con la sua siccità e le sue inondazioni) è già la più grande minaccia alla nostra produttività e sicurezza alimentare. Non è "natura contro cibo": aumentare la biodiversità è un vantaggio per gli agricoltori, la natura, il clima e la salute umana. Le norme proposte stabiliscono alcune regole, purtroppo molto più modeste del necessario, per “restaurare” la natura malata, in modo graduale, ponendo alcuni limiti e scadenze. È intorno a queste regole che si è scatenata una campagna rumorosa e spesso basata su dati scorretti. Per esempio, la lobby dell’agroindustria, potentissima anche in Italia, sostiene di avere fatto grandi sforzi per ridurre le emissioni climalteranti derivate dalla sua attività. Dati dell’Agenzia europea dell’ambiente smentiscono in pieno questa affermazione dato che le emissioni nocive sono rimaste praticamente le stesse nel corso degli ultimi quindici anni. Altro argomento spesso usato è che se la legge, pur nella versione pesantemente edulcorata adottata a Strasburgo, metterebbe in pericolo la nostra sicurezza alimentare. Anche qui, dati e numeri dimostrano che al contrario, siamo sempre a rischio di sovraproduzione in Europa. I rischi derivano invece da attività anche agricole poco attente agli effetti sulla salute e l’ambiente di emissioni inquinanti e in particolare di quello degli allevamenti intensivi, concentrati peraltro nella nostra regione. Per questo, sia detto per inciso, mi pare davvero una vittoria di Pirro quella di essere riusciti ad escludere ieri al PE dalla normativa europea sulle emissioni industriali quelle derivanti dalle attività agri-zootecnica, che sono importanti fonti di inquinamento e dovranno essere ridotte.
Resistere e negare l’importanza della cura della natura alla fine farà male a tutti e tutte noi.